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  • Movimento umanistico e relazione d'aiuto: verso una sensibilità collettiva
    Cecilia Edelstein (a cura di)

    M@gm@ vol.15 n.2 Maggio-Agosto 2017





    EDUCARE VERSO UN RINASCIMENTO UMANISTICO

    Pier Luigi Lattuada

    djirendra@gmail.com
    È medico, psicologo, psicoterapeuta, direttore della Scuola di Formazione in Psicoterapia Transpersonale riconosciuta dal MIUR e del training di Alta Formazione in Counseling Transpersonale e fondatore della Biotransenergetica. Professore alla Sofia University, Palo Alto California e alla Ubiquity University, co-vice–presidente dell’EUROTAS, European Transpersonal Association. Ha scritto numerosi libri e articoli sulla psicoterapia transpersonale, la medicina integrale, la biotransenergetica.


    La congiunzione degli opposti 2 / Particolare 2 - Nicoletta Freti

    "A volte nella storia

    alcune persone speciali si svegliano nella massa.

    Essi non sono radicati nella massa,

    e emergono secondo leggi molto più ampie.

    Essi portano con sé strane abitudini,

    e richiedono spazio per azioni audaci.

    Il futuro parla spietatamente attraverso di loro.

    Essi salvano il mondo".

    Rainer Maria Rilke (1899)

     

    La spietatezza gentile

     

    Partirò da questa frase di Rilke (in Garrison, 2014, p.22) che trovo profondamente vera e toccante per articolare un discorso sull’educazione e sul rinascimento, termini intimamente connessi come vedremo. Il futuro parla spietatamente attraverso di loro, coloro che “salvano il mondo”, dice Rilke.

     

    Ecco una parola chiave, “spietatamente”. Il termine senza pietà, potrebbe sembrare crudele, ma invece indica un aspetto cruciale, la capacità di non vacillare, non indugiare, in una parola non cadere nella tentazione di trascurare ciò che crediamo essere buono e giusto, a qualsiasi costo. Atteggiamento che richiede una grande responsabilità, l’abilità a rispondere al Sé, la sinderesi, quella capacità di sentire dentro ciò che è buono e giusto. Essi non sono radicati nella folla ma emergono seguendo leggi più ampie, le leggi del Sé, potremmo dire.

     

    Va chiarito a questo punto cosa si intenda per leggi del Sé; è qui che si renderà evidente il nesso tra educazione e rinascimento. Ma procediamo con ordine, chiamiamo in causa Gorbaciov. Legittimo chiedersi cosa c’entri mister Gorbaciov. Si narra che nel maggio del 2012, al Council on Foreign Relations di New York, Henry Kissinger chiese a Gorbaciov dove avesse sbagliato ed egli rispose: «Ci sono molte ragioni politiche ed economiche per la mia caduta, ma l’essenza è che non ho analizzato la realtà in modo sufficientemente spietato». Il che tradotto stava a significare: «non ho creduto abbastanza negli ideali della Glasnost e della Perestrojka da difenderli a sufficienza».

     

    Le leggi del Sé, i nostri ideali, la voce del daimon parla forte e chiaro; a noi spetta il coraggio di essere abbastanza spietati per seguirla, spietati in modo gentile.

     

    Analisi del reale

     

    Prima di entrare nel merito dei passi da compiere verso un nuovo rinascimento che parta dall’educazione, vediamo di compiere una breve “analisi del reale”, lo stato dell’arte. Seguendo le accurate riflessioni di Jim Garrison (ibidem), ed espandendole potremmo individuare alcune tendenze in parte positive in parte negative. Iniziamo dall’ombra.

     

    1. L’incremento dei cambiamenti climatici a livello planetario occupano certamente il primo posto. Ci basti un dato: ogni ventiquattrore vengono emesse nell’atmosfera oltre 100.000.000 di tonnellate di ossido di carbonio, l’equivalente in termini di calore di diverse centinaia di bombe atomiche come quella di Hiroshima. Se a questo abbiniamo l’incremento dell’utilizzo delle risorse naturali dell’attività umana di una popolazione che ha ormai superato i sette miliardi, comprendiamo la gravità di una situazione che non può essere ignorata, qualunque sia il contesto nel quale si opera.

     

    2. L’aumento del controllo degli Stati sulla popolazione. Viviamo in un’epoca di post-privacy, di “democrazie totalitarie” per usare le parole di Garrison (ibidem, p. 24); siamo liberi di esprimere il nostro voto, ma sono i soldi che governano il gioco: la finanza mondiale e le multinazionali hanno il controllo della situazione. In questo quadro ai ceti e alle popolazioni più disagiate non restano alternative se non la sopravvivenza in miseria o la delinquenza. È in questo contesto che si collocano fenomeni come le migrazioni o il terrorismo islamico.

     

    3. Egemonia della ragione (questo o quello? Either or fallacy). Ad aggravare la situazione è il tipo di mentalità che cerca di affrontare e risolvere questi problemi, tuttora dominato dalla mente duale, il pensiero razionale nella sua dimensione più limitata e limitante. Il senso comune che abita la modernità ancora ragiona secondo il cosiddetto Modus Tollens:

    (se da A si deduce B, e se B è falso, allora è falso anche A).

    Se è giorno, c'è luce. (implicazione: p, allora q) Ma non c'è luce. (non q)

    Dunque non è giorno. (conclusione)

    Ne consegue che: Se vedo i folletti, ci sono (implicazione: p, allora q) Ma non vedo i folletti (non q)

    I folletti non ci sono (conclusione)

     

    Ne consegue un pensiero che:

     

    - Separa la cosa dal modo, si occupa della cosa e trascura il modo.

     

    - Introduce la questione politica del potere. Potere della testa sulla pancia, della ragione sull’immaginazione, dell’uomo sulla natura, del bianco sul nero, del forte sul debole, del furbo sull’onesto.

     

    - Alla condivisione e alla partnership preferisce la competizione e il controllo.

     

    - Trascura il soggetto dell’esperienza. Non ci dice nulla su come guarda chi guarda e soprattutto di cosa ne fa di ciò che ha visto. Non ci parla del grado d’identificazione dell’osservatore con le sue aspettative, i suoi presupposti impliciti.

     

    - Allontana dal qui ed ora, il luogo dell’essere, l’unico luogo dove avviene qualcosa di reale per proiettarci in un mondo virtuale della mente fatto di strategie, obiettivi, protocolli, ricerche che trascurano l’essenza delle cose: il loro modo, che si compie sempre qui e sempre adesso.

     

    - Divide il mondo in bianco o nero trascurando i contorni e le sfumature, vincolando i confini alla sola funzione di separare e precludere negando agli stessi la funzione di indicare un altrove.

    Si tratta, in definitiva, di un pensiero che è parte del problema che cerca di risolvere fondato su separazione, riduzione, competizione, controllo.

     

    Veniamo ora alle notizie buone a metà.

     

    4. L’innovazione tecnologica. L’incredibile progresso avvenuto in campo tecnologico ha indubbiamente dato uno straordinario impulso allo sviluppo della società moderna e migliorato la qualità della vita per larghe fasce della popolazione favorendo tra l’altro l’accesso alla conoscenza e lo scambio di informazioni a livello globale. Dall’altra, ha però globalizzato il mono-pensiero razionale e la cultura del dominio che porta con sé realizzando quello che Jim Garrison definisce come uno dei più straordinari paradossi dei nostri tempi: «Non siamo in crisi perché non abbiamo la tecnologia che può risolvere i problemi: siamo in crisi perché non abbiamo la volontà politica di usare la tecnologia che abbiamo a disposizione». (ibidem, p. 25).

     

    5. Egemonia della ragione: certamente la ragione non è solo qualcosa di astratto e arido che imprigiona in categorie duali ogni cosa e reduce il vivente a puro fenomeno materiale da misurare e controllare. Se è vero che, paradossalmente, il pensiero razionale frutto di una rivoluzione scientifica avvenuta tra le popolazioni bianche dell’occidente e quindi di una sparuta minoranza, è divenuta egemone a scapito di culture millenarie fondate su diverse mitologie, è anche vero che la ragione ha traghettato l’umanità fuori dalla buia notte della magia, della superstizione e del mito.

     

    È indubbiamente grazie alla ragione che, come vedremo, ha potuto realizzarsi il rinascimento italiano e di conseguenza svilupparsi la nascita del pensiero scientifico che, ai nostri giorni, si articola nei processi metacognitivi del pensiero critico in grado di pensare sul pensiero. Gli psicologi cognitivi e gli antropologi, usando le funzioni più elevate della razionalità conosciuta come cognizione formale operazionale, offrono uno strumento che fornisce «ragionevoli ragioni» direbbe Wilber (2011, p.7) per le proprie credenze ponendosi domande tipo: quali sono le evidenze? Perché dovrei credere a questo? Chi lo ha detto? Come ho raggiunto questa informazione?

    Così facendo la razionalità può creare uno spazio di possibilità dove i sentimenti e le intuizioni possono raggiungere spazi più ampi e autentici di quelli delimitati dai nostri desideri o da quelli della realtà consensuale.

    In questo modo la razionalità tende ad essere universale e altamente integrativa in modo tale da dare spazio non solo alle nostre ragioni, alle nostre verità, a quelle della nostra tribù, della nostra famiglia, del nostro ambito culturale, della nostra religione, della nostra nazione e ad aprirsi alle argomentazioni di chiunque sia in grado di riflettere sulle proprie ragioni.

    È proprio questo pensiero critico, la vision logic di Wilber (ibidem) che si candida a operare nel nostro mondo globalizzato garantendo a tutte le culture e società il loro unico e speciale posto, consentendo alle diverse prospettive di convivere fianco a fianco oltre le singole mentalità convenzionali, socio o etnocentriche per aprirsi a una visione planetaria, “mondo-centrica”.

     

    6. I creativi culturali (semi di un nuovo rinascimento): a partire dalle rivoluzioni culturali dei primi anni Sessanta i sociologi hanno iniziato a segnalare un nuovo fenomeno, la crescita nella popolazione di persone definibili come “creativi culturali” (Ray e Anderson, 2000). I creativi culturali hanno preso parte ai movimenti sociali degli anni Sessanta e Settanta o ne raccolgono l’eredità: operano per i diritti civili, le cause ambientaliste, di genere, animaliste o anti-proibizioniste, il movimento dello sviluppo del potenziale umano e transpersonale, la ricerca sugli stati di coscienza o l’affermazione di una nuova scienza. Essi sono generalmente bene informati, aggiornati e al passo con le nuove idee e soprattutto sono gli epigoni di un fatto mai avvenuto prima nella storia dell’umanità: sono profondamente coinvolti nella dimensione spirituale senza definirsi religiosi.

    Lo stesso avviene per la politica: sono sensibili alla vita politica in modo pragmatico e non ideologico e, per la tecnologia, usano i social e gli smartphone, sono connessi, ma allo stesso modo sono attenti all’ambiente e alla “vita reale” nella comunità.

    Ricerche sottolineano un fatto strano: nonostante essi siano ormai la maggioranza nelle aree metropolitane della civiltà occidentale, tendono a sentirsi isolati e fuori dal sistema. Questo è dovuto al fatto che i media, le istituzioni civili e religiose sono sotto il controllo della cultura dominante precedentemente descritta.

     

    Che fare?

     

    Per rispondere a questa domanda si rende necessario approfondire la questione della voce interiore, delle leggi del Sé, perché risulta evidente che se i nostri creativi culturali vogliono uscire da quel senso di isolamento e aderire al teorema Rilke della “spietatezza gentile” hanno bisogno della comprensione della vera natura di tali leggi.

     

    Per ovviare alle rassicuranti leggi del senso comune, individuarsi quale elemento distinto dalla massa, varcare le colonne d’Ercole del pensiero convenzionale è necessario prefigurarsi un altrove, confidare in una dimensione più ampia (broader laws), la quale non è e non deve essere solo un vano desiderio, un’aspirazione ma un’esperienza reale fatta di corpo ed emozione, sangue e lacrime, slancio e passione, non solo pensiero ideale.

     

    Per comprenderlo basterebbe considerare questo ulteriore dato: studi compiuti sui creativi culturali, riporta Garrison (2014), dimostrano che esiste più somiglianza tra un creativo culturaledi Tokyo e uno di Mosca che tra un creativo culturale di Tokyo e il suo vicino di casa.

     

    Questo significa che nel viaggio interiore verso la nostra umanità più autentica, la nostra vera natura, non siamo soli; ogni eroe in viaggio verso la sua “gentile spietatezza” è un fenomeno globale, un fenomeno emergente, proprio come i social e la tecnologia, la giusta risposta al momento giusto, la risposta per il cambiamento, radicale, spietato, gentilmente spietato.

     

    Una prima comprensione

     

    Siamo eroi in viaggio, esseri umani universali, transpersonali, straordinari! Un risveglio di coscienza è alle porte e non si tratta di un fatto solo personale; è politico, è ecologico, è culturale, è sociale, è spirituale.

     

    Siamo all’inizio di un nuovo rinascimento. Ma si sa, come insegna Einstein, la mente che ha creato il problema non può risolverlo.

     

    Umanesimo Consapevole

     

    Dicevamo che educazione e rinascimento sono intimamente connessi, così ci insegna la storia.

     

    Il Rinascimento italiano è ricordato come un’esplosione della produzione artistica ma, in realtà, tutto ebbe inizio nell’autunno del 1402 quando i governanti di Firenze affrontarono e risolsero la gravissima crisi che la città stava attraversando grazie ad una scelta coraggiosa e assolutamente innovativa: decisero di cambiare le basi del sistema educativo passando dal modello fino ad allora vigente, gestito dalla Chiesa e fondato sulla Bibbia, al modello della civiltà Greco-Romano fondato sulla ragione. Tale modello venne chiamato “umanesimo civico” e dette l’avvio a ciò che la storia ricorderà come Rinascimento, una delle epoche più straordinarie di sempre.

     

    Siamo alle soglie di un nuovo salto, anche se i tempi possono sembrare difficili, tutto è pronto, manca forse la fede, intesa come coscienza del proprio valore e il coraggio della “spietatezza gentile”.

     

    È il momento di educarci ed educare a una nuova coscienza, il salto che molti hanno già fatto, magari senza nemmeno saperlo, il salto che attende la nostra civiltà post-moderna, globalizzata, iper-complessa è il passaggio a quella che Bohm (Krishnamurti & Bohm, 1986) chiama una comprensione di nuovo ordine che si svela attraverso l’insight, il passaggio da una cultura del dominio a una cultura della condivisione, da un pensiero convenzionale a un pensiero post-convenzionale, dal paradigma della ragione al paradigma della consapevolezza.

     

    Una seconda comprensione

     

    L’altrove che il paradigma della consapevolezza è in grado di prefigurare è la dimensione dell’esperienza interiore, che chiameremo esperienza del Sé e collocheremo come fondamento del modello educativo per un nuovo rinascimento: l’umanesimo consapevole.

     

    Psyché, Sé, Sé Organismico

     

    Per meglio definire l’esperienza del Sé partiremo dal concetto di psiche e approderemo a quello di Sé organismico.

     

    Nella storia del pensiero scientifico moderno, per essere studiata, la psiche è stata ridotta a un oggetto, è stata fatta coincidere con la mente e riposta nel cervello. Così facendo, è stato possibile studiarne i suoi risvolti neurofisiologici, cognitivi e comportamentali, il suo versante potremmo dire oggettivo, trascurandone però il suo versante soggettivo. La psiche, infatti, che d’ora in poi chiameremo Psyché, non è solo l’oggetto ma anche il soggetto dell’esperienza, un fenomeno integrale, complesso, che coinvolge tutti i domini dell’essere.

     

    Psyché (in greco ψυχή, psūkhē) è citato per la prima volta in Omero come soffio vitale che lascia il corpo al momento della morte.

     

    La filosofa successiva, seppur con differenze più o meno significative, ha identificato quindi la Psyché con anima.

     

    Nella concezione platonica l’anima “cade” nel corpo dall’iperuranio o mondo delle idee e la conoscenza è dovuta al ricordo reminiscenza dell'anima di tutte le idee che ha contemplato in quella dimensione, metafisica, a-spaziale, atemporale, puramente spirituale (Platone, Fedro).

    A questa anima individuale Platone affianca un’anima universale come già le tradizioni orientali prima di lui con i Veda, le tradizioni egizia, orfica e pitagorica. Tale anima universale è infusa nel mondo dal Demiurgo che la plasma a partire dai quattro elementi: terra, acqua, aria e fuoco (Platone, Timeo, VI, 30b – 30c).

    Aristotele vede invece l’anima immanente nel corpo identificandola con l’entelechia, la “causa della vita”, la forma del corpo (Aristotele, 1973).

    Con Plotino (1948) e i neoplatonici l’anima viene concepita con un aspetto sia trascendente che immanente, viene riconosciuta come forma del corpo ma anche come elemento autonomo e preesistente ad esso (Plotino, Enneadi, IV, 7,8.).

    Secondo la concezione neoplatonica, l’anima di un organismo è più di tutte le sue parti messe insieme, è un’unità indivisibile e, in quanto tale, preesistente: «Questo universo è un animale unico che contiene in sé tutti gli animali, avendo una sola Anima in tutte le sue parti» (ibidem, Enneadi, IV, 4, 45).

     

    È il concetto dell’anima mundi che veicola le idee platoniche nell’organismo e che viene poi ripresa da Campanella per il quale ogni essere vivente è animato e tendente contemporaneamente a un proprio fine e a una meta universale (Campanella, 2008).

     

    Allo stesso modo Leibnitz (2005) con il suo concetto di monadeconcilia la visione aristotelica dell’entelechia con quella neoplatonica concependo che tutte le sostanze fossero costituite sia da particelle materiali che immateriali e che di conseguenza fossero centri di forza ad un tempo materiale e spirituale e che tutte le differenze tra sostanze ed entità siano semplici differenze di grado di spiritualità (coscienza). Leibnitz cerca così di conciliare la divisione cartesiana tra res cogitans e res extensa.

    Il progresso della scienza in direzione riduzionista ha però portato a una graduale differenziazione della Psyché in concetti distinti in base all’ambito preso in considerazione.

    Per la visione religiosa, essa è riconducibile ad un’essenza spirituale; per la filosofia, il concetto di Psyché viene a coincidere con quello di mente, così come per la psicologia cognitiva, la quale la estende al complesso delle funzioni cognitive non corporee, finendo per identificarsi con la personalità nella psicologia psicodinamica.

    In Freud la Psyché umana è un’entità complessa costituita da diversi sottosistemi o “luoghi psichici” distinti in conscio, preconscio e inconscio. Tale concezione si arricchisce poi dei concetti di Io, Es e Super-Io per la quale, l’Io o parte conscia della personalità si sviluppa mediando le istanze istintive dell’Es e quelle morali del Super-Io (Freud, 1997).

    Per William James (1950), padre della psicologia americana, l’attività psichica è riconducibile a un “flusso di coscienza”, espressione dell’interazione tra organismo e ambiente.

    Assagioli (1973) introdusse un concetto di Psyché che affiancasse all’inconscio freudiano anche un inconscio medio e soprattutto un super-conscio, luogo delle potenzialità più elevate di ordine spirituale, emanazione di un Sé Transpersonale trascendente la dimensione individuale. Visione ripresa da Jung (1976), che a sua volta la espanse fino a concepire un inconscio collettivo, luogo degli archetipi, principi ordinatori della Psyché.

    Maslow (1971), dal canto suo, procede nell’indagine del potenziale umano proponendo una gerarchia della Psyché scandita dal graduale soddisfacimento di una scala di bisogni, che vanno da quelli più basilari di sopravvivenza a quelli più elevati di autorealizzazione.

    Reich (1973) per primo ricondusse la Psyché al corpo teorizzando un’identità funzionale tra atteggiamenti mentali e atteggiamenti corporei. Egli individuò una corrispondenza tra carattere e tensioni corporee, descrivendo un’armatura muscolare che struttura nel corpo le diverse armature caratteriali. La visione di Reich apre la strada ad una visione organismica in grado di integrare i piani corporeo, energetico, emotivo e mentale.

    Perls (1976) mise l’accento sugli aspetti di auto-consapevolezza della Psyché calata nel qui ed ora. Per ritrovare una visione integrale della Psyché dobbiamocompiere un’escursione in ambito filosofico dove con Panikkar (1992), che riprende in un certo senso Aristotele, possiamo tornare ad affermare che essa è in certo qual modo tutte le cose, in quanto anima, forma formante delle cose.


    Psyché, infatti, in quanto anima delle cose, è logos, è autos, è pneuma, è bios e soprattutto è zoè, la forza vitale.

    Possiamo, così facendo, recuperare uno sguardo unitario che non concepisce soluzione di continuità tra bios, la forza vitale, e pneuma, la funzione senziente, il soffio e autos, l’identità individuale, la personalità, quella continuità di percezione di sé che possiamo chiamare Io o Sé individuale e logos, la funzione pensante e zoè, l’essenza, la vita eterna, il tempo delle cose, il ritmo di ogni evento singolo qui e ora. E’ questo uno sguardo unitario che coglie il dinamismo della Psyché individuale e la sua interconnessione con tutte le altre cose del mondo, la sua immersione in un campo più vasto, senza soluzione di continuità con la Psyché collettiva (transpersonale), la totalità, con la quale intrattiene un dialogo incessante. 

    L’esperienza umana del mondo si definisce in questo caso come il dialogo partecipativo tra Psyché individuale e Psyché collettiva caratterizzato nelle sue diverse declinazioni dal dialogo partecipativo tra l’Io e il Mondo, l’individuo e la totalità, il soggetto e l’oggetto, il microcosmo e il macrocosmo. Si tratta in altri termini del viaggio evolutivo dell’essere umano, un gioco iper-complesso scandito dalla graduale scoperta delle regole e dal graduale incremento dell’abilità a rispettarle.

    È a questo punto che possiamo ricondurre, a mio avviso, la Psyché individuale alla definizione più adatta di Sé, Sé Organismico per la precisione.

    Il concetto di Sé Organismico ci consente di riconoscere il soggetto dell’esperienza nella sua connotazione umanistica di piena potenzialità, vale a dire sistemica, unitaria, interconnessa, transpersonale, in una parola integrale, intatta, dove nulla viene tolto.

    Con l’intento di non togliere nulla, proveremo a descrivere, tracciare confini, i quali non vengono intesi come barriere limitanti bensì come ponti di interconnessione tra sistemi e sottosistemi in dialogo partecipativo.

    Essi nemmeno vanno intesi come bandiere da sventolare o dogmi da affermare ma solo alcune delle tante descrizioni possibili, mappe utili per orientarsi in un territorio, il gioco dell’esperienza umana del mondo.

    Il Sé Organismico viene descritto da Ken Wilber (2000) ricalcando la concezione della filosofia perenne, secondo la quale l'individuo è visto come un’unità di corpo, mente, anima e spirito:

    • Il corpo è l'aspetto materiale, formale, il livello più grossolano della personalità
    • La mente comprende i piani sottili delle sensazioni, emozioni, sentimenti e pensieri
    • L'anima è il luogo nel quale l'essere umano conosce il divino nell'esperienza unitaria dell'essere
    • Lo spirito è il piano trascendente della purezza dal quale l'anima individuale trae la sua radice.


    Fig. 1

     

    Nel modello transpersonale proposto dalla Biotransenergetica (Lattuada, 2012), il soggetto dell’esperienza viene riletto in termini d’unità ternaria, secondo una mappa operativa e interconnessa nella quale i livelli di personalità possono venire riconosciuti nella loro veste multidimensionale di materia, energia e coscienza.

     

    In questa sede mi limiterò a descrivere i livelli della Psyché Individuale, o Sé Organismico, vista come un sistema psicobiofisico unitario e dinamico, costituito da sottosistemi interconnessi. Veri e propri veicoli e modulatori di circuiti d’esperienza attraversati da coscienza.

     

    Il livello (o veicolo) fisico modula le informazioni inerenti al sistema mediante l'insieme delle funzioni sensoriali: le sensazioni proprio ed esterocettive.

     

    Il livello (o veicolo) energetico modula le informazioni inerenti al sistema mediante l'insieme delle sensazioni proprio ed esterocettive d’ordine sottile.

     

    Il livello (o veicolo) emotivo modula le informazioni inerenti al sistema mediante l'insieme delle funzioni emotivo/affettive: emozioni, stati d’animo, sentimenti, bisogni, desideri, aspirazioni, motivazioni, etc.

     

    Il livello(o veicolo) mentale modula le informazioni inerenti al sistema mediante l'insieme delle funzioni cognitive: pensieri, rappresentazioni, immagini, ricordi, fantasie, ecc.

     

    Il livello(o veicolo) spirituale è il luogo delle dimensioni super-consci del Sé, dimensioni alle quali si accede mediante l’intuizione, l’insight, la meditazione, l’esperienza mistica, la sensitività, gli stati di coscienza non ordinari e così via.


    Fig. 2

    Una terza comprensione

    Possiamo quindi arrivare a una terza comprensione: una formazione che voglia educare l’essere umano, dovrebbe educarlo all’esperienza integrale del Sé.

     

    La buona notizia è che, come non mai prima nella storia, l’essere umano ha il pane e ha i denti.

     

    Molti creativi culturali sono sensibili al richiamo della consapevolezza: una vasta gamma di “tecnologie esperienziali interiori”, provenienti da tradizioni millenarie così come da metodologie di nuova concezione, in grado di sostenere con validità modelli formativi di ordine esperienziale integrale, sono oggi a disposizione di tutti.

     

    Attraverso le tecnologie esperienziali interiori è possibile accedere all’esperienza integrale del Sé e lasciare che in questo modo la sua legge si compia.

     

    Le leggi del Sé

     

    L’esperienza diretta integrale del Sé svela a chi la compia il suo carattere olotropico, cioè orientato all’unità, per dirla con Grof (1988), oppure unificante, per usare la definizione junghiana (Jung, 1976), oppure ancora auto-organizzantesi, secondo Capra (1987). Il suo inequivocabile monito è riassumibile nella frase cristica: «lascia tutto e seguimi», altrimenti declinabile in «perditi e ti ritroverai o scompari a te stesso».

     

    Le tradizioni, come vedremo, concordano e parlano di disidentificazione dai contenuti dell’Io.

     

    L'Io rappresenta la personalità, quella parte del Sé che conosciamo, quella particolare configurazione di veicoli del Sé, frutto della nostra storia personale, con i quali ci identifichiamo.

     

    Possiamo quindi attribuire all'Io, semplificando, la dimensione della conoscenza, dei veicoli tipici del pensiero lineare, della prima attenzione e della mente duale razionale, quella funzione che abbiamo visto esercitare la sua egemonia nei vari campi del sapere, definendosi come il pensiero convenzionale della cultura post-moderna. Possiamo, semplificando, attribuire al Sé, disidentificato dai veicoli dell'Io, la dimensione della consapevolezza, delle qualità più genuinamente umane, di quella che ci piace definire Seconda Attenzione (Lattuada 2010), base epistemologica di un Pensiero Integrale.

     

    Per comprendere meglio la differenza tra Io e Sé possiamo pensare allo specchio. I riflessi nello specchio, i suoi contenuti, coincidono con i veicoli del Sé; l'Io è l'insieme dei riflessi, il Sé è lo specchio, l’esperienza integrale del Sé consente l’equanimità, indifferente del fatto che qualcuno o qualcosa vi si specchi dentro.

     

    Attraverso l’esperienza integrale del Sé si impara a lasciare andare i contenuti dell'Io, a lasciare fluire ogni veicolo su ogni livello, a non trattenerlo, non giudicarlo, non attaccarsi, non identificarsi, si impara in una parola a rinunciare all'Io, a scomparire ai suoi contenuti e ritrovarsi nella vacuità essenziale del Sé, il quale non è i bisogni né le paure né i giudizi connessi, o qualsiasi altra cosa di cui possiamo fare esperienza. Il Sé è il soggetto stesso che fa esperienza, è chi siamo veramente, è quell'esperienza paradossale, senza confini, cui attingiamo quando siamo disposti a tollerare l'incertezza dovuta alla perdita di riferimenti esteriori. Il Sé o Psyché è la sorgente stessa del nostro essere, che iniziamo a percepire quando osiamo affrontare con fiducia i fantasmi del dubbio e dell'insicurezza ed essere con loro spietati, gentilmente spietati, senza pretesti.

     

    Quando lasciandoci fluire nella vita iniziamo a varcare soglie ignote, allora iniziamo ad accorgerci che esiste un flusso incessante e sconfinato, qualcosa di più ampio, di più profondo, di più essenziale, ineffabile, ed è così che il Sé inizia a mostrarsi in tutta la sua ricchezza.

     

    È a questo punto che lasciare andare coincide con l'assumersi la responsabilità di dire sì e dire no, prendere il coraggio di abbandonare il controllo dell'Io, i territori del conosciuto, brandire lo scettro del potere personale e agire di conseguenza, seguire quella voce interiore che, cessato il rumore del mondo esterno, inizia a farsi sentire, a indicarci la strada.

     

    Lo so, possiamo sentirle forti e chiare le resistenze dell’Io che ribellandosi incalzano: “Sì va bene, ma non ci hai ancora detto quali sarebbero queste leggi del Sé”.

     

    “Le mie leggi non sono del tuo mondo”, potrebbe rispondere il Sé, “non aspettarti un elenco di cose da fare, di obiettivi da raggiungere, di protocolli da seguire”.

     

    Il Sé si manifesta quando vengono create le condizioni; le sue leggi non seguono lo spirito del tempo, ma lo spirito del profondo, come suggerisce Jung (2011), affiorano qui e ora e tutto intorno quando si compie la giusta azione.

     

    Le sue leggi sono qualità da coltivare, qualità che rispettino la sua vera natura, la quale è:

    • Sinergica
    • Sistemica
    • Oligarchica
    • Olotropica
    • Auto-organizzantesi
    • Circolare
    • Dinamica
    • Interconnessa
    • Triadica
    • Partecipativa
    • Unificante
    • Transpersonale
    • Soggettiva
    • Contestuale
    • Immediata
    • Essenziale
    • Paradossale
    • Ineffabile
    • Sconfinata
    • Integrale.

    Una quarta comprensione

     

    Le leggi del Sé sono qualità da coltivare. Educare all’esperienza interiore del Sé significa educare al risveglio di una nuova coscienza, in grado di esprimere le qualità più genuinamente umane.

     

    Un’obiezione

     

    Un’obiezione che si potrebbe a questo punto sollevare è la seguente: “Non stai dicendo nulla di nuovo, è dai primordi della storia dell’umanità che l’essere umano parla di consapevolezza e di qualità”.

     

    Vero, ma è qui il caso di citare il detto popolare: “una rondine non fa primavera”.

     

    Le vette di consapevolezza raggiunte dai saggi, dai mistici o dai filosofi di ogni epoca si realizzavano in contesti dominati dal pensiero magico, superstizioso e mitologico oppure negli ultimi secoli dal paradigma della ragione. Solo oggi le condizioni sembrano rendere possibile a una massa critica di persone, il salto nella dimensione della consapevolezza.

     

    Per continuare con le metafore: “i semi gettati sul cemento non possono crescere”.

     

    Oggi la terra è fertile e inoltre quel patrimonio di conoscenze sostenute dai modelli filosofici ed epistemologici provenienti dai quattro angoli del mondo e dalle epoche più diverse, trova riscontro nelle acquisizioni della scienza moderna nei campi più disparati dalla fisica alla biologia, all’antropologia, alla parapsicologia, alle neuroscienze, alla ricerca sugli stati di coscienza.

     

    Conoscenze accessibili a tutti indistintamente e direttamente, grazie al progresso tecnologico e alla globalizzazione, trovano ai giorni nostri una massa critica di persone disposte a recepirle.

     

    Due modalità di conoscenza

     

    L’opportunità più significativa dei nostri tempi sembra tuttavia definirsi nella possibilità reale che l’intrecciarsi delle due modalità di conoscenza citate raggiungano un’integrazione su un livello che le trascende e include entrambe.

     

    Gettiamo uno sguardo indietro alla storia della conoscenza, che potremmo chiamare (approssimando) occidentale, ma che invece chiameremo storia della conoscenza dentro i confini della realtà oggettuale.

     

    Dentro i confini

     

    La storia della conoscenza è partita con la nominazione di biblica memoria con Abramo, per procedere con la classificazione pensando ad Aristotele, con la numerazione grazie a Pitagora, per arrivare alla nascita della scienza con la misurazione ad opera di Galileo, arricchirsi della separazione con Descartes e della spiegazione con Comte, per approdare poi alla falsificazione con Popper e alla meta-cognizione con gli psicologi cognitivisti.

     

    Oltre i confini

     

    La storia della consapevolezza che potremmo chiamare (approssimando) orientale, ma che invece chiameremo storia della conoscenza dell’essenza, oltre i confini della realtà della mente duale, coincide con la storia delle grandi tradizioni sapienziali dell’umanità, le tradizioni mistiche di ogni tempo e di ogni latitudine.

     

    Esse, pur nelle diversità culturali, spesso molto marcate, sembrano concordare: scompari e ti ritroverai, è nella disidentificazione che trovi te stesso oltre l’Io verso il tuo vero Sé. Comunque si voglia concepire il termine Io e comunque si voglia concepire il termine Sé, l’esperienza interiore di ordine mistico indica l’esistenza di una soglia oltre la quale si può cogliere la vera natura essenziale dell’essere. Le diverse tradizioni indicano anche la strada: l’insight, quella comprensione di nuovo ordine di cui parla Bohm (2002), e gli strumenti per percorrerla, le cosiddette tecnologie interiori.

     

    Una quinta comprensione

     

    La mente razionale non è lo strumento adatto per comprendere e padroneggiare l’esperienza integrale del Sé; è necessario ampliare il nostro stato di coscienza e il nostro modo di usare la mente per accedere alle dimensioni più autentiche della Psyché, grazie all’integrazione di ragione e consapevolezza.

     

    Fondamenti per un’integrazione

     

    L’educazione alla padronanza dell’esperienza integrale del Sé, a mio avviso, dato significativo per qualsiasi tipo di formazione, essenziale e irrinunciabile, qualora si voglia formare alle relazioni d’aiuto, dovrebbe fornire, attraverso la sinderesi, le garanzie di accesso a quelle “broader laws” di cui parla Rilke, alle leggi del Sé.

     

    Una formazione umanistica che educhi alla “spietatezza gentile”, al coraggio di seguire le voci del Sé e le sue leggi, trova fondamenti storici, epistemologici ed esperienziali.

     

    Accenniamoli brevemente.

     

    La nostra disamina non può che partire dallo sciamanesimo, la tradizione originaria e dalla sua affermazione madre: “il mondo è ciò che sogni”.

     

    Come ancora ricorda Garrison (2014, p. 27) «Il terreno sul quale dovremmo ri-creare il mondo è la coscienza sciamanica…le più grandi fondamenta della spiritualità non è nella Bibbia, nel Corano o nella Torah, non è nelle Upanishad… è nella terra stessa. Lo sciamano conosce il linguaggio della natura e della società, le leggi dei regni visibili e invisibili…dobbiamo imparare il linguaggio della madre, dobbiamo imparare come suonare il tamburo di nuovo. Dobbiamo imparare come commutare e di fatto comunicare, con gli alberi, con le pietre, con l’acqua, con il vento…».

     

    Passiamo per i Veda (2000-500 a.C.) per trovare esemplificato con una metafora i due sistemi di conoscenza in questione, già noti agli albori della storia raccontata: «Volse lo sguardo all’albero del Manas (la Mente) la cui natura duale si rivelò nei due uccelli appollaiati sullo stesso ramo, uno intento a mangiare bacche, l’altro intento a guardare. Due uccelli indistinguibili se non per il fatto che uno mangia e l’altro guarda».

     

    L'Induismo oppone una conoscenza superiore che può essere raggiunta direttamente attraverso l'intuizione a una conoscenza inferiore, concettuale e comparativa (Wilber, 1993).

    Esploriamo il Buddismo, per il quale ogni fenomeno, senza eccezione, è vuoto di esistenza inerente e la base per ogni sua manifestazione è la natura vuota e luminosa della Mente, prajna, prodotta dall'identità tra osservatore e osservato e distinta da vijnana, caratterizzata dal dualismo tipico dei sensi e dell'intelletto (ibidem).

    Troviamo eco nello Zen, il quale ci dice Suzuki (1976), fonda il proprio insegnamento sul satori o go, “Comprensione della Realtà” o anche 見性 kenshō, “guardare la propria natura di Buddha” ovvero “attualizzare la propria natura ‘illuminata’” mediante un’esperienza improvvisa e profonda che consente la “visione del cuore delle cose”.

    Nel Sufismo, invece, che si auto-definisce la scienza della conoscenza diretta di Dio e afferma la shahada come uno dei suoi pilastri, vale a dire la percezione che solo la Realtà Assoluta è reale (Hazarat Inayat Khan, 1990).

     

    Per il Taoismo, allo stesso modo, che affianca a una “conoscenza convenzionale” una conoscenza naturale”, la conoscenza perfetta è di ordine mistico, la verità sta nella totalità che si può conoscere solo intuitivamente e la si raggiunge entrando in comunione con l'assoluto, il Tao, che permette una comprensione diretta della realtà annullando la distinzione che c'è tra l'Io e il mondo (Watts, 1977).

    Concetti che il tantra riassume nella prima strofa del Canto diMahamudra (Osho, 2010, p.28) nella quale Tilopa, recita così:

    «Mahamudra è al di la di ogni parola e simbolo
    Ma per te, Naropa, fervente e leale,
    Questo va detto:
    Il vuoto non ha bisogno di supporto
    Mahamudra non poggia su nulla
    Senza compiere alcuno sforzo,
    Restando sciolti e naturali
    È possibile spezzare il giogo,
    È ottenere la liberazione».

    A dimostrazione che la comprensione della vera natura del Sé non è una faccenda solo orientale, spostiamoci in occidente e consideriamo la tradizione giudaico-cristiana.

     

    Per la kabbalah ciò che non è conoscibile è quello che sta oltre la sefirah più alta, cioè l'Altissimo che essendo incommensurabile non può venir percepito dall'uomo. Egli si contrasse per poter emanare la sua energia nel mondo finito e mostrare così la sua gloria (Berg, 2005).

     

    Nel Cristianesimo mistico, Meister Eckhart (Eckhart & Vannini, 1985) ci ricorda che «non vi è altro che Esso, vi è identità non somiglianza tra l’Anima e Dio, un’identità che non può essere colta attraverso il ragionamento, ma che viene colta a colpo d’occhio. Dio nasce nel profondo dell’Anima che non si comprende con la ragione e l'intelligenza ma piuttosto si basa sulla visione che l'intelletto sopra razionale realizza la propria natura. Egli parla di un "crepuscolo della conoscenza" per indicare la conoscenza simbolica attraverso la quale le idee vengono percepite in modo diverso e di un’“alba della conoscenza” dove le creature sono percepite senza alcuna differenza, ogni idea viene rifiutata e tutti i confronti si dissolvono in Uno, Dio stesso».

    Con Plotino (1948) troviamo una straordinaria sintesi di oriente e occidente espressa in sintonia con tutte le altre scuole non duali citate, per il quale la realtà - il "mondo reale" - non è né questo mondo né l'altro mondo; anche se non può facilmente o accuratamente essere descritto, può essere direttamente visto o appreso nella consapevolezza immediata attraverso la pratica contemplativa.

    Ogni parte del Tutto è infinito «L'uno, il ciascuno, e il Tutto, ogni cosa finita esiste come parte di tutte le cose finite, ma la Spiritualità non si trova in tutto, ma in Colui che è completamente presente in entrambi, tutto è ciascuno e ciascuno è tutto, ed infinita la gloria» (Plotino, 1948, p. 42).

     

    La realtà è Summit (omega) e Sorgente (alfa) e il loro terreno comune è la Talità (non-duale).

     

    È nell'integrazione della via ascendente e discendente che la consapevolezza non-duale si accende: il mondo è illusorio; solo Brahman è reale (vero), Brahman è il mondo.

     

    Come riporta Wilber (2011), la necessità di bilanciare e unire salita e discesa, Eros e Agape, saggezza e compassione, trascendenza e immanenza - questa integrazione non-duale è il grande e duraturo contributo di Plotino (1948), e si presenterà sempre, credo, come un faro luminoso per tutti coloro che stanchi di violenza e di brutalità dei sentieri semplicemente ascendente o semplicemente decrescente.

     

    Per Plotino, spirito e anima sono ovunque e in nessun luogo «Siamo in cielo ogni volta che nel cuore e nella mente ci ricordiamo di Dio. Siamo immersi nella Materia ogni volta che ci dimentichiamo di Dio. Stesso posto, diversa percezione». (Plotino, 1948, p. 43).

     

    Anche per Schelling (Frank, 2010), dobbiamo andare oltre la ragione per scoprire che Mente e Natura sono semplicemente movimenti di uno spirito assoluto, uno spirito che si manifesta in successivi stadi di manifestazione, così come per Hegel (2001) lo spirito non è separato dal molteplice, ma è il processo stesso di espressione del molteplice, è l’infinita attività che si esprime attraverso la finitezza del processo evolutivo.

     

    Venendo ai nostri giorni Krishnamurti (Krishnamurti & Bohm, 1986), a sua volta sostiene la differenziazione tra mente e fondamento, dove per mente è da intendersi l’insieme dei contenuti mentali, pensieri, ricordi, immagini, e per fondamento è da intendersi il contenitore a essi sottostante al quale si accede mediante l’osservazione. Allo stesso modo, il buddismo tantrico tibetano parla della vera natura della mente paragonandola allo specchio nel quale si riflettono i suoi contenuti.

     

    Secondo Williams James (1964), padre della psicologia americana, la nostra coscienza in stato di veglia non è altro che un tipo speciale di coscienza, affiancata ad altre forme potenziali di coscienza completamente diverse. Egli inoltre distingue tra conoscenza immediata e conoscenza concettuale o rappresentativa. Allo stesso modo Spinoza (2007), così come Henri Bergson (1986), distinguono tra intelletto e intuizione, mentre Abraham Maslow (1971) contrappone a una conoscenza intellettuale una conoscenza fusionale.

     

    Andrei Weil (2014) affianca una conoscenza diretta a un’indiretta e Norman O. Brown (1959), una conoscenza carnale a una conoscenza dualistica. Alfred North Whitehead (1979) il filosofo moderno che forse più di ogni altro si è soffermato sulle due diverse modalità di coscienza, a una modalità simbolica di conoscenza contrappone la prensione, vale a dire il sentire la realtà in modo diretto e non-duale.

     

    Alan Watts (1979) ricordando i risultati della ricerca di Einstein, Schroedingher e Heisenberg, che affermano l’inscindibilità tra soggetto e oggetto, conoscente e conosciuto, sostiene che per comprendere profondamente la realtà è necessaria una modalità di conoscenza che con la realtà sia compatibile, vale a dire una conoscenza che non separi il soggetto che conosce da ciò che viene conosciuto.

     

    Arthur Eddington (1998) conferma che esistono due tipi di conoscenza, che lui chiama conoscenza simbolica e conoscenza intima. Egli sostiene che le forme tradizionali di pensiero si sono sviluppate esclusivamente intorno alla conoscenza simbolica, dal momento che la conoscenza profonda non si lascia codificare o analizzare e auspica una conoscenza intima della realtà che vada al di là dei simboli della scienza.

     

    Carl Gustav Jung (1976) considera l’esperienza mistica lo strumento per l’accesso diretto al mondo archetipico e arriva a indicare nell’esperienza spirituale la via maestra per guarire dalle nevrosi. Ken Wilber (1993) suggerisce una lettura della coscienza come spettro costituito da cinque livelli in cima al quale colloca la coscienza dell’unità.

     

    Stan Grof (1996), sottolineando la centralità dell’esperienza diretta delle dimensioni spirituali, suggerisce il termine di mente olotropica per indicare quegli stati unitari della mente che consentono la trascendenza di ogni limite della mente analitica, di ogni categoria razionale, di ogni costrizione della logica ordinaria.

     

    Carlos Castaneda (1975), riportandoci quella che definisce la saggezza degli antichi stregoni, parla di una seconda attenzione che consente l’accesso al nagual, il mondo della comprensione, contrapposta alla prima attenzione che si limita al tonal, il mondo dell’illusione.

     

    Il paradigma della consapevolezza

    Così come nel Rinascimento, l’umanesimo civico si è affermato liberando il mito dalla sua morsa dogmatica e oscurantista per trascenderlo e includerlo grazie ai lumi della ragione. Ora l’umanesimo consapevole è in grado di liberare la ragione dal ristretto giogo del dualismo riduzionista, trascendendola e includendola nella radianza numinosa della consapevolezza.

    In entrambi i casi, mito e ragione non vengono negati ma purificati. Nel paradigma della consapevolezza, il mito mantiene il suo potere allegorico di incantare il mondo; la ragione mantiene, grazie al pensiero critico, la sua capacità di cogliere le differenze che fanno la differenza.

     

    Se nel mito la confusione dei confini tra oggetto e soggetto consentiva la participation mistique con la natura, le sue forze e le sue leggi, se nella ragione la differenziazione tra soggetto e oggetto ha finito per privilegiare il secondo trascurando il primo, nella consapevolezza la distinzione tra soggetto e oggetto è riconosciuta reale ma non vera, funzionale cioè ad operare sul mondo, ma non a cogliere la vera essenza delle cose.

     

    Se nel mito i confini sono indistinti, nella ragione i confini sono stabiliti chiaramente e la scelta è quella di operare all’interno dei confini della realtà oggettiva; nella consapevolezza, i confini sono trascesi e inclusi nell’essenza ed è da quel livello che si opera nel mondo.

     

    A questo punto le obiezioni dei non-abbastanza-spietati potrebbero spingersi ad argomentare che l’esperienza integrale del Sé sia un fatto privato, soggettivo e non possa essere esportato sul piano sociale, oggettivo.

     

    La nuova visione è in grado di sostenere con garanzie di validità che il risveglio di coscienza, come detto, non è un fatto solo personale, ma anche politico, ecologico, culturale, sociale e spirituale.

     

    Pensiamo all’effetto farfalla o alla centesima scimmia, ai campi morfogenetici, alle connessioni non locali o alla sincronicità; una piccola perturbazione nel sistema, se lasciata risuonare, ha effetti straordinari sull’intero sistema; ricorda Gorbaciov che non basta credere nei propri ideali, bisogna essere spietati abbastanza dal perseguirli ad ogni costo, svelando i pretesti che ci bloccano; oppure ripensiamo a Jung (2011) quando contrappone alle limitazioni dello spirito del tempo le risorse trasformanti dello spirito del profondo.

     

    Il paradigma della consapevolezza non ragiona secondo i canoni oggettivi di vero o falso, ma secondo i criteri dell’osservazione consapevole, non impone una morale a scapito di un’altra, non ragiona dentro i confini, varca la soglia e riconosce ciò che separa e ciò che unifica, riconosce e accoglie le differenze, trascende e include.

     

    Osservazione, attenzione, riconoscimento sono alcune delle sue parole chiave.

     

    Essere spietati abbastanza significa esercitare l’attenzione alla consapevolezza (seconda attenzione) e la responsabilità ad agire di conseguenza.

     

    La mente duale, il pensiero convenzionale, lo spirito del tempo è costantemente in agguato, ma allo stesso tempo, per la prima volta nella storia trova un nuovo pensiero, una nuova educazione in grado, non di escluderlo ma di trascenderlo e includerlo, non di combatterlo ma di valorizzarne le risorse e le potenzialità, ottimizzando così i contributi dei sistemi di pensiero che l’hanno preceduto.

     

    Il nuovo umanesimo

     

    Un nuovo umanesimo consapevole può fiorire da una conoscenza abile a trascendere e includere le due modalità di conoscenza che si sono variamente intrecciate nel corso della storia: la conoscenza razionale dei confini della realtà oggettuale e la conoscenza unitiva, o consapevolezza dell’essenza, oltre i confini.

     

    Una mente nuova in grado di valorizzare i livelli più elevati della ragione, come il pensiero critico e i suoi processi metacognitivi, fautori di quella visione planetaria, mondo-centrica, necessaria nella post-modernità globalizzata per garantire il rispetto di tutte le culture e società e di quello sguardo autoriflessivo unito al rigore metodologico, necessari per garantire validità alle proprie affermazioni e affidabilità al proprio operato.

     

    Una mente nuova in grado di accedere a quella dimensione unitiva che integra spirito del tempo e spirito del profondo, coglie oltre i confini della separatezza tra soggetto e oggetto, qui, ora e tutto intorno, quell’unità essenziale del Sé, sulla quale tutte le tradizioni mistiche sembrano concordare.

    Una mente nuova che raccoglie l’eredità del lungo cammino compiuto dalle tradizioni spirituali da un lato e dal pensiero scientifico dall’altro.

     

    La mente indica la strada dell’integrazione tra ragione e intuizione, pensiero e osservazione consapevole, esperimento ed esperienza interiore, una strada da percorrere grazie all’esperienza integrale del Sé, all’insight fatto metodo, a quella comprensione di nuovo ordine di cui parla Bohm (2002).

     

    Gli strumenti per percorrerla sono noti: si tratta delle cosiddette tecnologie interiori (o del sacro) la meditazione, il respiro, l’osservazione consapevole, l’ascolto empatico, l’amore compassionevole, il canto, la danza, la musica, il digiuno, le piante di potere, il sacrificio, unite al patrimonio di nuove tecnologie esperienziali elaborate dalla ricerca umanistica e transpersonale a partire dalla seconda metà del secolo scorso.

    Ricapitolando

    Potremmo a questo punto azzardare una bozza di Linee Guida per un’educazione a un nuovo rinascimento umanistico:

    - Non sievolve da soli. Levoluzione sostenibile, il processo di individuazione, la realizzazione del Sé si svolge in un contesto relazionale, culturale, sociale e ambientale che è parte del processo stesso.

    - Dal controllo alla condivisione. Un pensiero razionale fondato su separazione, riduzione, competizione e controllo è parte del problema che cerca di risolvere, in quanto è esso stesso ad averlo creato.

    - Tecnologie esperienziali interiori. La trasformazione parte da dentro. Non siamo in crisi perché non abbiamo la tecnologia che può risolvere i problemi: siamo in crisi perché non abbiamo la volontà politica di usare la tecnologia che abbiamo a disposizione. Tecnologie esperienziali interiori provenienti da tradizioni millenarie, così come da discipline di nuova concezione, in grado di sostenere con validità modelli formativi di ordine esperienziale integrale, sono oggi a disposizione di tutti.

    - Spietatezza gentile. Ciascun essere umano è un eroe in viaggio, universale, transpersonale, straordinario. Il risveglio di coscienza non è un fatto solo personale, ma collettivo, transpersonale, integrale.

    - Dialogo Partecipativo. L’esperienza umana del mondo si definisce come il dialogo partecipativo tra Sé, Psyché individuale e il mondo, Psyché collettiva.

    - Soggetto/Oggetto. La distinzione tra soggetto e oggetto è riconosciuta reale ma non vera, cioè illusoria e non essenziale.

    - Prefigurarsi un altrove (pensiero post-convenzionale). L’altrove che il paradigma della consapevolezza è in grado di prefigurare è la dimensione dell’esperienza interiore, che abbiamo chiamato esperienza integrale del Sé, una formazione che voglia educare l’essere umano alla relazione d’aiuto, dovrebbe educarlo all’esperienza integrale del Sé.

    - Le leggi del Sé sono qualità da coltivare. Educare all’esperienza interiore del Sé significa educare al risveglio di una nuova coscienza, in grado di esprimere le qualità più genuinamente umane.

    - Paradigma della Consapevolezza. È il momento di educarci ed educare a una nuova coscienza, a una mente nuova in grado di valorizzare i livelli più elevati della ragione, di accedere a quella dimensione unitiva che integra spirito del tempo e spirito del profondo. Cogliere oltre i confini della separatezza tra soggetto e oggetto, qui, ora e tutto intorno, quell’unità essenziale del Sé, che raccoglie l’eredità del lungo cammino compiuto, da un lato, dalle tradizioni spirituali e, dall’altro, dal pensiero scientifico.

    - Interconnessione, connessioni non locali, sincronicità, alta sinergia. Queste sono parole chiave che delineano un insegnamento fondato su vuoto, ascolto, presenza, osservazione, fluidità, tolleranza dell’incertezza, fiducia, disidentificazione.

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