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TikTok, un giudice ha bloccato la messa al bando di Trump

Il ban su TikTok negli Stati Uniti sarebbe altamente “devastante” per l’azienda e i suoi utenti, un blocco inopportuno in un momento in cui il bisogno «di comunicazioni libere, aperte e accessibili, è al suo apice», in altre parole cioè durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali. È quanto ha riferito da un giudice federale di un tribunale di Washington DC che ha temporaneamente bloccato il bando di Donald Trump su TikTok, decisione arrivata a poche ore dall’entrata in vigore del divieto di scaricare la nota app di condivisione video, blocco che doveva scattare poco prima di mezzanotte obbligando App Store e altri store a eliminare l’app.

Durante l’audizione di domenica mattina per l’ingiunzione d’emergenza che era stata richiesta per TikTok, è stato deciso per il momento di “congelare” il ban. È consentito il download dell’app negli USA ma ad ogni modo resta la minaccia del divieto totale se non diventerà un’azienda statunitense. L’ultimatum è ora fissato per il 12 novembre.

TikTok vanta centinaia di milioni di utenti. L’amministrazione Trump, come noto, da tempo parla dell’app in questione paventando rischi per la sicurezza giacché, a loro dire, le autorità cinesi potrebbero avere accesso a dati, elemento che sua società madre cinese – ByteDance – nega nel modo più assoluto.

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Il governo USA preme per forzare la vendita di TikTok a società statunitensi, chiedendo ad aziende americane di concludere accordi al fine di conservare dati degli utenti su server locali. Tra le aziende USA che hanno fatto proposte per l’acquisizione di una parte di TikTik ci sono Oracle e il rivenditore Walmart ma non è chiaro se questo basterà a soddisfare i desideri di Washington che continua a vedere dei rischi su qualsiasi cosa che arrivi o è legata al Paese del Dragone.

Il 20 settembre un giudice della Corte distrettuale statunitense del North Carolina ha emesso un’ingiunzione contro un ordine esecutivo simile nei confronti di WeChat firmato dal Presidente USA, sollevando dubbi sulla compatibilità dell’ordine con il primo emendamento della Costituzione che garantisce la terzietà della legge.

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