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  • GIORNALISMO NARRATIVO
    Numero monografico pubblicato con il Patrocinio dell'Ordine dei Giornalisti di Sicilia

    Orazio Maria Valastro - Rossella Jannello (a cura di)

    M@gm@ vol.13 n.1 Gennaio-Aprile 2015


    • ARTICOLI DI FONDO

      Orazio Maria Valastro

      I contributi qui pubblicati sono un esempio rilevante di come riportare al cuore la narrazione individuando soggetti e tematiche diversificate, proprio a proposito del tema di fondo di questo numero monografico, proponendo un insieme composito di storie, di desideri e bisogni, di valori e principi, attraverso la pratica di una scrittura giornalistica che assume un ampio respiro narrativo e ci fa riflettere sul ruolo del giornalismo contemporaneo e sul suo stesso futuro. Ed è proprio questo, il senso del lavoro collettivo che sono felice e soddisfatto di pubblicare ed offrire all'attenzione delle nostre lettrici e lettori: volgere lo sguardo verso una nuova prospettiva alimentando quella ricerca personale e professionale sempre viva e presente, nonostante le difficoltà strutturali delle aziende giornalistiche e del mercato editoriale.


    • Rossella Jannello

      È l’ultima scommessa del giornalismo. E non è solo un ritorno. Ci si è arrivati per scelta e soprattutto per necessità. Lo chiamano long-form journalism, new journalism o non fiction. E in Italia anche «reportage narrativo» o «giornalismo delle storie». Ma forse sarebbe meglio dire che si tratta della risposta del Giornalismo alle Breaking news e ai 140 caratteri di Twitter. Insomma: se è vero che non esiste realtà senza qualcuno che la osservi e non esiste informazione senza qualcuno che la racconti, le realtà si sono moltiplicate vertiginosamente e l’informazione si è fatta sempre più scarna e sincopata. Avere la notizia VS raccontare le notizie.


    • CONTRIBUTI

      Mario Bruno

      La depressione è stata definita in svariati modi: una volta si chiamava esaurimento nervoso, oggi è “il male oscuro”, “il male di vivere”, “umor nero” o, come l’aveva soprannominata Winston Churchill, “black dog”, un “cane nero” che ci divora. Sia come sia, oggi la depressione è riconosciuta come vera e propria malattia, una patologia subdola che colpisce a tradimento. Arriva silenziosa e devastante, preceduta o meno dai micidiali attacchi di panico, e taglia le gambe, chiude la persona sofferente in un limbo di silenzio e apatia; fa vedere tutto grigio, opaco, annienta interessi, desideri e, non di rado, la voglia di vivere. Tanti sono stati vittime della depressione. Anche fra le persone più note e di successo.

    • Graziella Busso

      Rabbia, dolore, incredulità si mescolano in un turbinio di emozioni quando, dalle affissioni che quasi quotidianamente si danno il cambio, si legge il necrologio di un “qualcuno” che sappiamo ucciso dal cancro. E pensiamo che, ancora e forse per tanto tempo, potremmo essere più fortunati. E non c’è pace, non c’è consolazione per quei giorni di vita vissuta, strappata, stropicciata, rubata da un mostro che non sempre è possibile sconfiggere finché non subentra la stanchezza, la rassegnazione, la secchezza delle ghiandole lacrimali. Unico strumento per cercare di “cambiare le cose”, per quanto difficile possa sembrare farlo, è combattere, perché la lotta per un ambiente più vivibile sarà una conquista per noi e per i nostri figli, un’eredità che non ha prezzo. La voglia di “gridare” la sofferenza di chi vive la realtà di uno sviluppo insostenibile si è da tempo trasformata ad Augusta in una battaglia di sensibilizzazione alla ormai annosa problematica e nel profondo desiderio di raccontare, far conoscere, testimoniare emozioni, desideri, sogni di chi vive in prima persona o ha vissuto la malattia di un proprio caro perché tutto questo possa servire a spingere verso quel mutamento culturale, storico, ambientale a cui tutti noi agogniamo.

    • Francesco De Filippo

      «Il circo è e sarà il più grande spettacolo del mondo». Nando Orfei sarà ricordato per questa frase, la "sua" frase, e per quella giacca bordeaux, improbabile e forte come tutti i colori e i gusti legati al mondo circense, secondo la legge che vuole lo spettatore affascinato e sopraffatto da lustrini, suoni e luci. Gusti forti, come il desiderio e l'adrenalina che a Nandino doveva pompargli in corpo ogni volta che alle spalle gli si chiudeva la porta in ferro lasciandolo isolato dal mondo, accerchiato da una decina di tigri o leoni. Come nelle immagini di un tempo o nelle vignette-simbolo della Settimana enigmistica: il domatore impomatato, la frusta, una sedia e una traboccante dose di fegato (o incoscienza). Chi lo ricorderà, lo farà facendo rimbalzare nel cervello questa immagine.

    • Giuseppe Di Palo

      In un piccolo paesino montano del cuore del Sannio molisano, l’arrivo inaspettato di un giovane proveniente da una grande metropoli della vicina Campania genera stupore ed incredulità tra gli abitanti del comune che conta appena 600 anime. Il ragazzo, trasferitosi in un'altra realtà, di un comune e di una regione che non sono quelli a cui è propriamente abituato, per motivi prettamente legati alla propria formazione, scopre in quei luoghi che ancora sfoggiano i colori della natura scenari meravigliosi che gli stuzzicano sentimenti e sensazioni mai provate lì dove era abituato a panorami fatti di grattacieli, antenne e cemento.

    • Gian Mario Gillio

      Spinelli è un musicista affermato e con la sua fisarmonica ha girato il mondo. Quando ci incontriamo per l’intervista è appena rientrato da Bruxelles dove si è esibito davanti al presidente della Commissione Europea Martin Schulz. Di rientro da Bruxelles, l’artista ha fatto tappa in Sicilia dove ha suonato per la popolazione sciclitana e tenuto una lezione per i ragazzi del liceo locale. La bella giornata soleggiata invita i nostri occhi a guardare il mondo che ci circonda, il cielo azzurro, le persone piccole piccole che come formiche si muovono nelle piazze, autobus e auto che sembrano immobili da quella distanza, un piccolo plastico. Quel mondo, che solitamente frequentiamo e attraversiamo distrattamente e freneticamente ci appare nuovo: una prospettiva diversa forse dovuta all’altezza, certamente una posizione privilegiata.

    • Elena Giordano

      Partiamo con una precisazione. Nella letteratura di Mafia esistono vari scritti e testimonianze, ma tra libri, conversazioni e reportage, chi è del mestiere lo sa, una cosa manca: un’intervista a un mafioso NON pentito. Un non pentito non parla, è una regola, “non siamo al servizio della Polizia” e per noi cronisti è anche impossibile ricevere autorizzazioni per avvicinarne qualcuno in carcere. È così che è iniziata la nostra “prova” d’intervista. Franco S. ha a cuore solo due argomenti da affrontare: l’uso delle intercettazioni e dei pentiti.

    • Anna Paola Lacatena

      Quella raccontata da un paziente del Dipartimento Dipendenze Patologiche della ASL di Taranto, Michela prima e Miki poi, è la storia di un'infanzia difficile, consumata in una casa in cui la violenza e la scarsa attenzione nei confronti dei bisogni sono la cifra principale. La protagonista non accetta le sue sembianze femminili, non si sente donna, vive come se non lo fosse. Da subito, si percepisce uomo in un corpo femminile. Miki non è un personaggio frutto di fantasia, dove quest'ultima rischierebbe di essere superata per drammaticità dalla realtà. È una persona che non ha saputo né voluto coltivare una menzogna esistenziale. Inizialmente provandoci con tutta la rabbia verso la vita di cui Michela era capace e successivamente con la consapevolezza di non essere solo distruttività e rabbia. Il desiderio profondo di vedere realizzata la propria autenticità lo conduce al rifiuto di darsi in pasto all'annientamento completo decidendo, dopo un accumulo di sofferenze e rifiuti, di decidere chi e come essere nel mondo. Rifiutando il rifiuto, cercandosi profondamente, la sfida non è stata più contro il resto del mondo ma a favore di sé e, conseguentemente degli Altri.

    • Pinella Leocata

      Esito. Guardo le loro guance piene, gli occhi spalancati, l’espressione attenta, e non riesco a parlare. Non so da dove cominciare. Mi chiedo se sia opportuno farlo. Come faccio a raccontare di Lorena Cultraro a questi ragazzi imberbi e a queste ragazze dall’espressione dolce e seria? Come faccio a dire che è stata violentata e massacrata da tre compagni di scuola? In Sicilia, a Niscemi, a pochi chilometri da qui, da questa scuola catanese, la Dante Alighieri, le cui docenti mi hanno invitata a parlare di femminicidio agli allievi delle ultime classi delle medie. Aveva la loro età. Ho tante storie, tante vite, da raccontare, perché i ragazzi possano capire da quali profonde insicurezze scaturisce tanta violenza e in quali modelli culturali e stereotipi affonda le sue radici, ma è da Lorena Cultraro che devo partire, perché aveva la loro età, era una ragazzina come loro, eppure è stata trucidata da «bravi» ragazzi che avrebbero potuto confondersi con questi che adesso attendono che cominci a parlare.

    • Maria Lombardo

      Questa è la storia di due ragazzi per i quali le speranze di riuscita in una professione artistica come quella dell’attore - già difficile per chiunque - in percentuale erano una su dieci. Forse zero. E invece ce l’hanno fatta: uno a Parigi, l’altro a Roma. Entrambi di colore, entrambi di umili origini, arrivati in Europa come tanti, centinaia di migliaia, nel loro caso non da clandestini. Le storie di Bakary e Federico mostrano come il talento e la fortuna possano vincere le avversità, l’emarginazione, i pregiudizi.

    • Massimo Melillo

      Rina Durante ha rappresentato il meglio della cultura meridionale, ne ha raccolto l’eredità e ne è stata tra le interpreti più acute. Abbiamo avuto l’onore della sua amicizia fraterna e solidale, conosciuto l’azzardo e la radicalità delle sue scelte di vita, la sua dolce timidezza e l’ardita padronanza e consapevolezza del suo ruolo: anni di discussioni, di confronto, di legame cementato da infuocati innamoramenti intellettuali per uno scrittore, un poeta, un regista, di accese ironie sui nostri caratteri, di scontri politici e furibondi litigi finiti in un abbraccio. Anche per Bruno Brancher, milanese di tutti e di nessuno, il ricordo si fa memoria per le sue mille improvvise e imprevedibili incursioni in terra salentina. Non era un uomo facile, anche se aveva dalla sua parte il puntiglio dell’innocenza tipica del ladro gentiluomo. Portava leggero il fardello di due vite in una: la prima segnata da una marginalità, fattasi a volte precariamente lussuosa con i proventi di furti e disarmanti rapine; l’altra con la faccia del redento, che con la scoperta della scrittura diventa cosciente di sé.

    • Antonio Michele Paladino

      I Giovani Mariani Vincenziani sono un gruppo di ragazzi come tanti, ma che come pochi altri hanno scelto di combattere per un futuro migliore. La loro battaglia silenziosa si svolge tra le strade di Catania, al servizio dei poveri e dei malati. Improvvisandosi assistenti sociali, medici, farmacisti, avvocati, burocrati e insegnanti, questi giovani bussano alla porta di chi non ha più niente per donare speranza. Ventenni e trentenni che hanno intrecciato il loro destino con quello degli ultimi, di chi ha viaggiato in direzione ostinata e contraria e che adesso si ritrova solo. I rom di San Giuseppe La Rena e Zia Lisa, ragazze madri, malati terminali, senzatetto, alcolizzati e disoccupati li chiamano “santi senza aureole”. Perché in un mondo sempre più cieco e sordo, i Giovani Mariani Vincenziani sono proprio questo: santi senza aureole.

    • Giacomo Scotti

      Partiamo per la Slavonia avendo per meta Plostine, il maggiore dei tre-quattro villaggi della zona di Pakrac-Lipik abitati prevalentemente da italiani, i cui avi giunsero dal Bellunese sul finire dello scorso secolo. È da Capodanno che Marco mi teneva informato sui preparativi della spedizione, telefonandomi una sera sì e una no. Alla vigilia della partenza da Padova, una sera tardi, l'ennesima telefonata di Marco: «A Mostar sono morti altri tre italiani, domattina alle cinque partiremo noi. Facci sapere dove ci aspetterai e se te la senti di venire. Da quelle parti non ci siamo mai stati».

    • Angelo Vecchio

      Ferocia, sangue. Miseria, ricchezza, allegria, lutti. La cronaca siciliana sintetizza il contesto e il quadro ci consegna immagini terribili. E sono davvero orribili le atrocità compiute dalla mafia, che sfida persino Dio e cancella vite umane. Lo fa con la stessa micidiale capacitàdistruttiva di un terremoto. Già.

    • Orazio Vecchio

      Dalila è una bella ragazza originaria della provincia di Catania, da tempo trasferitasi nel capoluogo etneo. Laureata, ha un lavoro, un marito e spera di avere presto anche un bambino. Scherza e sorride con generosità, ma sa essere seria e diligente quando si richiede. A vederla, impeccabile in ufficio o rilassata il sabato sera, nessuno sospetterebbe che possa avere una malattia rara e degenerativa. Eppure, tra le preoccupazioni di ogni giorno e le speranze per il futuro, Dalila affronta un’importante patologia autoimmune. Per tanto tempo ha taciuto, quasi nascosto o rimosso, la sua sofferenza; oggi ne parla con le persone più vicine e ha accettato di aprirsi in questo dialogo, in cui racconta l’impatto con la diagnosi e le prime cure, il rapporto con i genitori e quello con il marito, le relazioni con gli amici e i problemi sul lavoro, le lunghe ore in ospedale e i pensieri sulla morte, la voglia di vivere al meglio e la fede in Dio. Dimensioni e aspetti riscoperti o valorizzati grazie alla malattia.

    • Samantha Viva

      Era ottobre. L’ottobre caldo e triste della tragedia lampedusana, del lutto e delle parole. L’ottobre dei 366 cadaveri dei migranti di origine eritrea e dei 150, tra uomini e donne, recuperati e salvati. Non era ancora scoppiato il caso al Centro di Primo Soccorso di Contrada Imbriacola, non era ancora stato chiuso per le docce della vergogna, per i trattamenti da lager con cui i dipendenti della Cooperativa che gestiva il Centro di Primo Soccorso, si prendevano cura dei migranti. Io ero andata lì a vedere cosa restava di quelle vite, e di quelli che continuavano ad arrivare, anche dopo.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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