L’epidemia ai tempi della globalizzazione

Covid e globalizzazione: i due esperti di fama internazionale Donato Greco e Paolo Vineis rispondono a Marco Bobbio, Segretario generale di Slow Medicine.

Slow Medicine si confronta con gli esperti
di Paola Pirocca

In che misura fenomeni come l’inquinamento, la riduzione della biodiversità, l’industrializzazione o i cambiamenti climatici sono correlati all’attuale pandemia? La lotta contro il Covid 19 riguarda esclusivamente il mondo sanitario o sono chiamati in gioco decisori politici di tutti i livelli? La salute delle persone è davvero influenzata dalla salute del pianeta?
Mai come quest’anno ci siamo resi conto che i problemi di salute della popolazione ci proiettano in una dimensione planetaria e quanto sia illusorio pensare che ogni Stato possa gestirli autonomamente.
È questa la riflessione posta al centro del terzo web meeting promosso da Slow Medicine lo scorso 10 dicembre con l’obiettivo di fornire gli strumenti necessari ad orientarsi in un fenomeno complesso, reso ulteriormente insidioso da informazioni contradditorie e da interessi difficili da arginare.
Ecco una sintesi degli argomenti affrontati a seguito delle domande poste da Marco Bobbio, Segretario generale di Slow Medicine, ai due esperti di fama internazionale protagonisti dell’incontro: Donato Greco e Paolo Vineis.

 

Quali caratteristiche permettono il passaggio di una malattia da un animale all’uomo, dando origine ad una pandemia?

Nella scala evoluzionistica i virus sono da considerarsi i primi mattoni della vita. Hanno la caratteristica di non essere autonomi, quindi, al contrario di un batterio, devono introdursi in un’altra cellula alla quale trasmettono il proprio acido nucleico. I virus che entrano in un organismo animale non solo si riproducono a spese dell’ospite, ma possono catturare frammenti del suo genoma mescolandoli al proprio, modificandosi e diventando altro da quanto erano in origine. Più l’assetto genomico ottenuto è diverso dall’originale, maggiore è l’espansione del nuovo virus, il quale non trova negli organismi ospiti difese immunitarie adeguate. L’80% delle malattie a noi note sono nate come zoonosi, cioè come malattie sviluppatesi in altri animali e che occasionalmente, grazie alla loro continua modificazione genetica, riuscirono ad adattarsi anche all’uomo. 

Quali cause possono aver contribuito alla diffusione del Sars-CoV-2?

Probabilmente il mercato di animali vivi e i trasporti internazionali sono stati i due fattori che hanno maggiormente contribuito alla sua diffusione. L’urbanizzazione crescente, la deforestazione, la perdita di biodiversità, lo sfruttamento continuo delle risorse del pianeta sono altre cause fondamentali. La perdita di biodiversità è importante per le epidemie e le pandemie perché la presenza di specie diverse implica un controllo demografico reciproco, quindi impedisce che una sola o poche specie prendano il sopravvento. Una maggiore varietà di specie rende più difficoltosa la formazione di “serbatoi di virus” e di “salti” tra specie diverse. C’è consenso diffuso nel mondo scientifico nell’ammettere la correlazione tra una sempre più frequente comparsa di epidemie e pandemie legate a questi fenomeni. Sono sempre più diffusi inoltre allevamenti intensivi di animali da carne rossa, il che rende più agevole la proliferazione di virus, mutazioni genetiche e salti tra specie. Quindi dovremmo occuparci con maggior impegno non solo del cambiamento climatico ma anche della perdita di biodiversità.

Si sta diffondendo il termine “sindemia”, che indica la compresenza di una malattia contagiosa con una o più malattie degenerative non trasmissibili, come il diabete, l’ipertensione, i tumori, l’obesità, ecc. Ci sono stati in passato esempi altrettanto evidenti di malattie che hanno creato una comune sinergia a danno dell’uomo?

Un esempio è l’interazione tra denutrizione o malnutrizione e presenza di malattie infettive soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il concetto di “sindemia” si associa anche a particolari periodi storici ed aree geografiche, quindi una quota consistente di malattie dipende certamente dallo stile di vita, ma anche dai condizionamenti sociali: si pensi ad esempio alla produzione industriale del cibo che interessa soprattutto il nostro mondo. I cibi ultraprocessati, più diffusi nei paesi anglosassoni, sono alla base di numerose malattie.

Per contenere la malattia è stato più utile il lockdown totale di marzo, oppure il lockdown attuale, decisamente parziale?

Il lockdown di marzo è stata una risposta cieca e precauzionale, suggerita dalla paura. Adesso sono state adottate misure sulla base di alcuni indicatori, quindi è stata fatta una valutazione più precisa e ponderata. Riguardo le misure adottate, sapevamo già da tempo che mascherine e distanziamento servono a limitare il contagio di malattie respiratorie, mentre non ci sono certezze sulla significatività della misurazione della temperatura. La chiusura di molte attività sociali e lavorative, decisa in marzo, non era necessaria e probabilmente ha prodotto più danno che beneficio. Ad esempio la sospensione dell’attività didattica in presenza nelle scuole primarie ha prodotto un danno incommensurabile, che a distanza di alcuni anni si rivelerà ben più serio degli effetti della pandemia.

Pensando agli effetti secondari dello sviluppo economico (tra i quali il paradosso crescente tra obesità e malnutrizione, i cambiamenti climatici, l’emigrazione di massa, lo sfruttamento agricolo del terreno, le disuguaglianze economiche e sanitarie), servirebbe un intervento politico della comunità internazionale, che però non sta mettendo mano a tutto ciò. Abbiamo un “piano B”? 

I tempi della politica sono troppo lenti rispetto all’accelerazione con cui vengono inferti danni al pianeta. Tuttavia si assiste ad un cambiamento di mentalità, dimostrato ad esempio dal “Green new deal” promosso da Obama. Purtroppo le resistenze che incontrano progetti come questo sono trasversali e presenti in tutti gli strati della società.

L’attenzione quasi esclusiva posta sul Covid 19 ha distolto le risorse sanitarie da altre malattie. In che misura questo può aver influito sulla salute delle persone?

Poca attenzione è stata posta nei confronti di altre patologie, sappiamo bene che attività di screening, diagnosi e cura sono state ritardate o addirittura sospese. C’è una parte di vittime in eccesso attribuibile proprio a questo, cioè a conseguenze indirette del Covid. Ad esempio si stima che in Africa ci siano state oltre 100.000 vittime del morbillo, a causa della mancata somministrazione del vaccino.

In previsione di ulteriori pandemie, quanto può essere importante rafforzare la rete territoriale?

Una pandemia si affronta, si argina e si previene sul territorio, ma gli ultimi 15 anni hanno visto un suo progressivo depauperamento. Citiamo un solo dato molto significativo: l’età media attuale degli operatori sanitari è di 50 anni, quindi negli ultimi anni ci sono state poche assunzioni, a fronte di un elevato numero di pensionamenti.

Per approfondire, la registrazione dell’incontro è disponibile sul canale YouTube di Slow Medicine.

 

  • Donato Greco: Medico specialista in malattie infettive, igiene e salute pubblica, epidemiologia e biostatistica medica. Diplomato in epidemiologia a Londra, Atlanta e Mosca. Ha lavorato per 32 anni nell’Istituto Superiore di Sanità, dove ha diretto il laboratorio di epidemiologia e biostatistica, poi direttore generale della prevenzione al Ministero ove ha lanciato il programma Guadagnare Salute per la prevenzione delle malattie croniche. Ha collaborazioni intensive con l’OMS e l’Unione Europea. Segue da trent’anni progetti di ricerca applicata all’ospedale Lacor Uganda. Dal 2012 è ricercatore senior di IPRI Lione. È grande ufficiale della Repubblica Italiana e medaglia d’oro per la salute pubblica.
  • Paolo Vineis: Professore ordinario di Epidemiologia Ambientale presso l’Imperial College di Londra e responsabile dell’Unità di Epidemiologia Molecolare ed Esposomica presso l’Italian Institute for Genomic Medicine – IIGM (Torino). Svolge ricerca nel campo dell’epi-demiologia molecolare. Tra le sue attività si annoverano anche ricerche sull’effetto del cambiamento climatico sulle malattie non trasmissibili in Bangladesh. E’ coordinatore di due grandi progetti finanziati dalla Commissione europea: Exposomics (sugli effetti molecolari dell’inquinamento atmosferico) e Lifepath (H2020, su disuguaglianze socioeconomiche ed invecchiamento). Gli ultimi libri: “Prevenire. Manifesto per una tecnopo-litica” (con Luca Carra e Roberto Cingolani), Ed. Einaudi 2020, e “Salute senza confini. Le epidemie al tempo della globalizzazione”, Codice Edizioni 2020.
Torna in alto