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Sguardo e sguardi narranti / A cura di AnnaMaria Calore / Vol.19 N.2 2021

Uno sguardo very serious per imparare dai games: il serious game come strumento di relazione e formazione

Daniele Armellino

magma@analisiqualitativa.com

Laureato in Storia presso la Sapienza Università di Roma, si specializza nella medesima Università in Storia contemporanea. Nei suoi studi e nelle sue pubblicazioni​ ha concentrato la propria attenzione sulla storia dell'idea di Europa, oltre che sulla storia del pensiero federalista europeo. Si è anche occupato di storia della Massoneria. È un insegnante (per quanto ancora precario). Ha sempre avuto a cuore i temi della formazione e dell'educazione dei più piccoli e delle più piccole, a partire dalla sua esperienza di animatore ed educatore all'oratorio. Ha fatto inoltre esperienza sul campo collaborando con l'Associazione di volontariato RaccontarsiRaccontando, nella qualità di co-ideatore e animatore di progetti di educazione all'empatia e al talento tenutisi in alcune scuole primarie e secondarie di I grado della Capitale.

 

Jessica Tarquini

magma@analisiqualitativa.com

Laureata in Storia moderna e contemporanea presso la Sapienza di Roma si avvicina ai serious games grazie al servizio civile presso il Museo della Republica Romana e della Memoria Garibaldina. In seguito approfondisce il suo interesse grazie all'Associazione RaccontarsiRaccontando sviluppando un serious game ad hoc per l'I.C. Uruguay. Al momento lavora per la Camera di Commercio presso il Tempio di Adriano.

 

Abstract

L’essere umano è immerso nel mondo, nella realtà umana costantemente in relazione e il suo sguardo è inevitabilmente sugli oggetti, sui fatti, sull’Altro. In un’ottica fenomenologica- esistenziale l’Altro è colui che mi costituisce e che io costituisco attraverso lo sguardo. È ciò che emerge nella mia ricerca sull’accoglienza domestica mediante la quale, con la raccolta di 74 storie di vita, analizzo il fenomeno della mobilità e il tentativo di questi esseri umani di inserirsi in un nuovo contesto.

 

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Introduzione

 

Talent Compass and Opportunity Map è un serious game che abbiamo ideato e progettato durante le settimane del secondo lockdown, a inizio 2021. Un gioco con l’ambizione di mettere insieme la ricerca del proprio, o meglio dei propri talenti, con un approfondimento inerente alla conoscenza del proprio territorio.

 

Nelle nostre intenzioni, quindi, un lavoro da presentare e mettere in atto in un Istituto Comprensivo romano, l’Uruguay: un’occasione per noi importante (così come tutte le prime) per metterci alla prova, per esplorare mondi fino ad allora conosciuti poco, oppure per vie differenti e traverse.

 

L’idea di raccontare questo nostro tentativo, invece, è venuta dopo, e abbiamo cercato di farlo nei paragrafi che il lettore si troverà a leggere sotto.

 

Abbiamo cercato di dare una cornice più consistente al nostro progetto, integrandolo in quello che è stato e continua ad essere il dibattito sull’educazione e la formazione in atto tra psicologi e pedagogisti, oltre che approfondendo il ruolo serious dello strumento del gioco nell’educazione e nella formazione di ogni individuo.

 

Il lavoro che il lettore andrà a leggere continuando oltre questa breve introduzione lo potremmo definire tuttavia ambizioso, almeno per due motivi: innanzitutto proprio perché prova a porre lo strumento del gioco al centro del processo di educazione e formazione (permanente) degli individui; secondariamente, perché quanto scritto è frutto di studi tanto appassionati quanto incompleti e parziali.

 

Non ci si aspetti perciò una disamina scientifica completa ed esauriente, bensì un tentativo di riportare un’esperienza, quella di Talent Compass appunto, ma immersa in un contesto maggiormente esplicativo, chiaro e conciso. E speriamo anche coerente!

 

L’Educazione in Gioco

 

Era Alberto Sordi ad affermare, richiamando sicuramente qualche adagio antico, che quando si scherza bisogna essere seri. Lo scherzo non è affatto una faccenda da sottovalutare. Così come d’altronde, nell’ambito dell’educazione e della formazione di fanciulli, adolescenti, giovani ma anche adulti, non lo è il gioco.

 

Ancora prima della formulazione delle grandi teorie psicopedagogiche sull’apprendimento, databili a partire dall’inizio del Secolo XX, c’era già stata una personalità che, proprio in Italia, a Torino, aveva compreso pienamente quanto fosse importante il ruolo delle relazioni, dell’esperienza sociale, quindi del gioco nell’educazione dei più piccoli: ci riferiamo a don Giovanni Bosco, fondatore della Società di San Francesco di Sales.

 

Il gioco come espediente per comprendere il carattere dei ragazzi; il gioco come strumento per educare i ragazzi; il gioco come luogo nel quale far crescere tra loro relazioni sane e durature.

 

Questo discorso sul gioco, tuttavia, va a nostro avviso inserito in una cornice di analisi più ampia, che riguarda, lo accennavamo sopra, l’evoluzione delle teorie sull’apprendimento.

Coloro che scrivono, come già accennato nell’introduzione, non sono esperti di pedagogia né di psicologia; tuttavia, anche se ovvio, ci sembra ugualmente importante inquadrare il nostro discorso sui serious game nell’alveo più ampio di questi studi.

 

Ciò da cui si parte nel teorizzare il modo migliore per educare i più piccoli, è il metodo cosiddetto comportamentista. Questo approccio, teorizzato da John B. Watson e Burrhus F. Skinner, riprendendo gli studi di fisiologia di Ivan Pavlov, è rimasto dominante fino agli anni sessanta del Novecento. Considera il discente come un soggetto passivo, che deve solamente rispondere positivamente a stimoli e rinforzi (ricompense o punizioni) provenienti dal docente.

Come un sacco da riempire, il discente in questa teoria non ricopre evidentemente alcun ruolo attivo nel processo educativo.

 

Accanto, e in buona sostanza in antitesi, alle teorie comportamentiste, si sviluppano altri indirizzi psico-pedagogici, tra i quali ci interessa citare il cognitivismo e il costruttivismo. Tra i due, quello che più colpisce per modernità e lungimiranza è l’ultimo, il cui maggiore esponente è George Alexander Kelly.

 

In ambito didattico, infatti, i costruttivisti rinnegano in toto qualsiasi forma d’insegnamento che abbia carattere trasmissivo.

In particolare, i caratteri distintivi di questo nuovo modo di intendere il processo educativo sono i seguenti:

1. la conoscenza non può essere infusa ma si realizza mediante un’azione attiva di costruzione della stessa;

2. infatti, ogni individuo ha una sua personale percezione della realtà, quindi ragiona sul mondo a partire da un proprio punto di vista;

3. di conseguenza, la personalità di ognuno è da intendersi come un organismo dinamico, qualcosa che non è data una volta per tutte;

4. l’apprendimento, quindi, non può soltanto essere frutto di azioni trasmissive di sapere, passive, ma, al contrario, deve essere un processo attivo, risultato di un percorso personale, nel quale il docente svolge il ruolo dell’accompagnatore, della guida;

5. Un apprendimento che, oltre ad essere attivo, deve anche possedere una dimensione collaborativa: una dimensione cioè che permetta al discente di sviluppare relazioni sociali. Quelle stesse relazioni che lo aiuteranno nel suo processo di costruzione della propria conoscenza, del proprio sapere, della propria formazione personale;

6. Un processo che è personale, in quanto individuale e diverso per ognuno, ma che vede nelle relazioni sociali e con l’ambiente aree importanti d’influenza.

 

L’esperienza diventa il metodo di trasmissione primario delle conoscenze, perché in grado di coinvolgere e stimolare il giocatore esattamente come proposto nell’opera di John Dewey del 1915, intitolata The School and Society.

 

Esperienza, relazione, ambiente. Queste tre parole-chiave sono strettamente legate alla dimensione del gioco. Il gioco è per definizione un’attività, contempla in sé perciò la componente attiva. Che sia individuale, di gruppo, di squadra, offre la possibilità di relazionarsi con un ambiente e con delle persone.

 

Non un semplice divertissement, perciò, bensì uno strumento da utilizzare molto seriamente e attentamente, uno scrigno dal quale ricavare una moltitudine di tesori. Uno strumento che potrebbe essere utilissimo anche nell’attività didattica curricolare quotidiana nelle scuole di ogni ordine e grado.

 

Un gioco serio, perché lo abbiamo visto, e adesso possiamo dirlo con certezza quasi assoluta, quando si gioca, così come quando si scherza, bisogna essere seri!

 

Anche i videogame si fanno serious

 

Prima di Alberto Sordi la serietà ed il gioco si incontravano nella filosofia di vita dei  neoplatonici rinascimentali: il serio ludere.

 

Il serio ludere sembra quasi essere uno stretto antenato dei serious game, entrambi si impongono di coniugare tematiche impegnative con toni scherzosi e solo apparentemente leggeri.

 

Recenti studi di mercato dimostrano che l’attuale valore dei serious games è di un miliardo e mezzo e la cifra è destinata a salire. Nel campo del gaming è considerato un fenomeno moderno frutto di un’intersezione fra i videogames e l’insegnamento con supporto grafico.

 

Sebbene numerosi videogames siano risultati efficaci dal punto di vista educativo anche senza essere progettati e immessi nel mercato in qualità di serious games, l’inizio del dibattito e dello sviluppo massiccio di giochi in grado di porre l’esperienza ludica in secondo piano e quella educativa in primo piano si può ricollegare al 2002.

 

Prima di giungere al fatidico anno che fa da spartiacque per i serious games è utile analizzare il legame che c’è con i videogames che da un punto di vista superficiale sembrano essere il tronco dal quale si sono diramati poi i giochi con un intento serious.

 

Tramite un’osservazione più approfondita, non del passato dei videogiochi, bensì dell’attuale andamento dell’industria videoludica, si può osservare che un confine ben definito non c’è poiché non è mai stata categoricamente esclusa la componente conoscitiva all’interno dell’esperienza di gioco fin dagli albori dei video games.

 

I serious games vengono infatti citati per la prima volta nel 1971 per indicare dei giochi – cartacei e non – finalizzati all’educazione mista all’intrattenimento. Non si trattava di una lista di giochi con carattere unicamente culturale, bensì di giochi in grado di lasciare delle competenze trasversali ai giocatori.

 

Alle orecchie dei giocatori e degli sviluppatori dell’epoca risultava fortemente ossimorico accostare il gioco e l’insegnamento, inoltre non erano ancora state messe in campo le competenze necessarie per far sì che venissero a galla gli insegnamenti e le capacità che i giocatori riuscivano a sviluppare tramite i video games.

 

Negli anni Settanta e Ottanta si utilizzerà unicamente l’espressione video games per indicare un nuovo tipo di giochi che, tramite l’utilizzo di device sempre più innovativi, stava prendendo il posto dei classici giochi da tavola.

 

L’enorme ascesa commerciale registrata in quegli anni dall’industria videoludica è dovuta alla velocità esponenziale dell’evoluzione tecnologica ma anche alla capacità di seguire l’innovazione ad ogni passo; caratteristica non riscontrata in tutti gli altri nuovi media che si avvicendavano in quegli anni.

 

I videogiochi infatti riescono, nel giro di sessant’anni, ad effettuare cambiamenti incredibili calcando i passi dell’evoluzione tecnologia dei Paesi maggiormente industrializzati riuscendo ogni volta ad integrare allo sviluppo quantitativo anche quello qualitativo sia nel campo della tecnologia che nel campo della creatività e dello storytelling. Né il cinema né la televisione sono stati in grado di crescere allo stesso ritmo dei videogiochi e quindi di affrontare con gli stessi risultati tutte le sfide della modernità.

 

Fra le varie modifiche che i videogiochi si sono trovati ad affrontare oltre il passaggio dal cabinato alla console, dal singleplayer al multiplayer, fino alle piattaforme online, c’erano anche le crescenti preoccupazioni dei genitori nient’affatto convinti del nuovo impiego che i loro figli facevano del tempo libero. 

 

Ciò avveniva maggiormente in Occidente dove le politiche di sviluppo dei videogiochi erano radicalmente diverse rispetto al Giappone. La Nintendo, che da semplice produttrice di giochi cartacei si era trasformata nella più prolifica e famosa azienda di videogiochi, aveva sempre considerato come suoi target principali gli adulti. Solo alcuni giochi in versioni differenti venivano resi disponibili anche per i bambini.

 

Per tale ragione i suoi sviluppatori non hanno mai percepito i video games né come prodotti orientati unicamente al divertimento per bambini, né come prodotti finalizzati unicamente allo svago. Lo si può riscontrare dal famoso “Dr. Kawashima's Brain Training: How Old Is Your Brain?”  rilasciato nel maggio del 2015 che, pur avendo uno scopo unicamente formativo, non fu etichettato come serious game e non era considerato per soli adulti.

 

A relegare i video games nella sola dimensione ludica sono gli Stati che popolano l’Occidente, i quali, nell’osservare che in larga maggioranza erano le fasce più giovani della popolazione ad essere interessate ai video games, hanno connesso questi ultimi al tempo libero dell’infanzia e dell’adolescenza.

 

Conseguentemente, il dibattito intorno ai video games ha sempre orbitato intorno alla loro validità come giochi ed al loro ruolo – negli anni sempre più centrale – nel tempo libero dei più piccoli. Con l’introduzione degli sparatutto e dei giochi ambientati in teatri di guerra – storici o inventati nel presente e nel futuro- ai videogiochi è stata addossata la colpa di dare insegnamenti negativi e di fare leva sull’aggressività dei giovani giocatori.

 

Tale risvolto negativo ha continuato a fare da sfondo in ogni confronto sui videogames per tutti gli anni Ottanta e Novanta, fino a quando, nei primi anni Duemila gli sviluppatori iniziarono ad intravedere nuovi orizzonti e nuove possibilità.

 

L’enorme sviluppo della grafica ha aperto alle possibilità di costruire nuovi mondi e personaggi con dettagli in grado di renderli sempre più realistici a tal punto che chiunque si trovi alla console si ritrova ad essere parte integrante di quel mondo.

 

Questo ennesimo passo avanti dal punto di vista tecnologico porta anche ad una significativa apertura verso la possibilità di sviluppo di videogiochi in grado di formare i giocatori educandoli in determinati campi.

 

Nel 2002 Ben Sawyer insieme al suo collega David Rejesky pubblica l’articolo: “Serious Games: Improving Public Policy through Game-based Learning and Simulation”. Sebbene l’ossimoro serious games sia unicamente presente nel titolo dell’articolo – grazie all’intuizione di Rejesky – la definizione che verrà data di questa nuova prospettiva costituirà il punto di partenza non solo per iniziare a parlare di serious games ma anche per introdurli sul mercato come dei prodotti nuovi.

 

“Il termine serious game designa un'applicazione informatica che prende in prestito le sue tecnologie e il suo know-how dal mondo dei videogiochi. Questa applicazione non ha come obiettivo primario l'intrattenimento, ma può spesso e vantaggiosamente integrare una dimensione ludica che servirà al suo meccanismo educativo e ne promuoverà l'attrattività”. Due sono le informazioni principali che possiamo ricondurre agli attuali pilastri degli odierni serious games: la connessione con i videogames si basa principalmente sul “mezzo” utilizzato ovvero la tecnologia – che viene ormai impiegata anche in altri ambiti come quello cinematografico – ed il know-how ovvero le modalità di coinvolgimento del giocatore che permettono alla sua soglia di attenzione di restare alta per tutta la partita, indipendentemente dalla durata. Da qui la seconda caratteristica: quella dell’impiego della dimensione ludica unicamente per affiancare e semplificare il meccanismo educativo.

 

Ciò significa che nei serious game è il gioco che si adatta alla finalità educativa. Il serious game imposta in primis la sua finalità - la formazione, l’addestramento, l’informazione o l’educazione – e solo in seguito inserisce una dinamica ludica ad hoc.

 

Con il medesimo intento è stato progettato America’s Army, uscito nel 2002, risulta essere a detta di Sawyer: “the first successful and well-executed serious game that gained total public awareness”. La prima finalità è quella di permettere al giocatore di imparare ad utilizzare le armi che l’esercito americano ha in dotazione fornendo così una conoscenza di base del mestiere del soldato, il fine ultimo è quello di arruolare dei volontari che in parte già hanno una conoscenza base delle armi.

 

Da America’s Army in poi i serious game iniziano ad ottenere uno spazio specifico all’interno dell’industria videoludica che si trasforma nell’anello che connette le game techniques e lo storytelling dei videogames ad un serious purpose, ovvero la trasmissione di educational contents.

 

Tali contenuti educativi possono spaziare in lungo e in largo, fra i più disparati ambiti del sapere ma possono anche decidere se dare informazioni di superficie oppure dare conoscenze approfondite. Per questo motivo i serious game possono in tutto e per tutto affiancarsi alla didattica, come validi strumenti in grado di mutare forma, regolandosi in ampiezza e profondità.

 

Abbondantemente impiegati in campo accademico - Revolution (2005) e Paestum Gate (2008) -  riescono anche a diventare uno strumento utile in ambienti lavorativi che necessitano di maggiori approfondimenti nel campo della salute mentale - Grow Your Chi (2004)- della sicurezza  Antiterrorism Force e Protection (2008) e del marketing. In alcuni casi sono anche utilizzati come metodo per affinare skills come problem solving ed il team building, cercano dunque di riempire gli spazi che spesso l'istruzione lascia inavvertitamente scoperti, operando anche tramite nuovi stimoli.

 

Talent Compass and Opportunity Map

 

É stata questa duttilità e questo paniere di stimoli nuovi a permetterci di partire da due tematiche come lo sviluppo del talento nei più giovani ed il legame col loro quartiere per arrivare al nostro serious game: Talent Compass and Opportunity Map.

 

Come suggerisce lo stesso titolo, il fine è quello di permettere ai giocatori di orientarsi scoprendo i propri talenti, su una mappa che ricalca le possibilità offerte dal loro quartiere. Ogni attività, struttura e luogo messo a disposizione da Cinquina è stato trasformato in una tappa -  con un suo specifico stile grafico e video - contenente un minigioco pensato per permettere ai ragazzi di comprendere se quella specifica attività fosse congeniale alle loro capacità e passioni.

 

Ogni minigioco ha una dinamica differente - quiz, giochi di squadra, giochi a coppie- ma tutti, in caso di vittoria, permettono di ottenere un bollino realizzato ad hoc per la tappa.

 

Il serious game, che si conclude nel momento in cui tutte le tappe vengono esaurite, lascerà ai giocatori uno o più bollini, ognuno dei quali ricorderà loro non solo una sfida vinta ma anche un possibile talento da coltivare. Abbiamo voluto che il serious game trasmettesse loro l’idea che le inclinazioni di ognuno di noi sono numerose e tutte possono essere sfruttate per comprendere meglio sé stessi e per costruire la propria identità con consapevolezza.

 

Quello che ci auguriamo è che la consapevolezza delle molteplici sfaccettature presenti in ognuno di noi permetterà loro di saper difendere le loro passioni ed i loro talenti, di unirli insieme e svilupparli permettendo ad ogni parte di loro di evolversi armoniosamente.

 

Conclusioni

 

I serious games rappresentano uno strumento educativo complesso e allo stesso tempo estremamente malleabile, che ci ha permesso di affiancare a due tematiche importanti non solo il gioco ma anche la nostra personale visione del talento e del legame con il territorio.

 

La malleabilità ci ha permesso di cucirlo alla perfezione sulle tematiche da affrontare e sull'ambiente scolastico mentre la complessità ci ha regalato profondità d’azione grazie alla quale siamo stati in grado di inserire il nostro sguardo su ciò che stavamo mettendo in gioco.

 

Siamo così riusciti ad evidenziare l'importanza del legame col proprio territorio che, come nel caso di alberi e terreno, non procede in una sola direzione: l’uno nutre l’altro.

Inoltre abbiamo anche messo in luce il modo in cui abbiamo imparato ad osservare il talento.

 

Ponendo attenzione al nostro e tenendo d’occhio quello altrui ci siamo resi conto che il talento non è mai al singolare. É molteplice poiché nasce con interessi, passioni e inclinazioni differenti che confluiscono in un unicum che rende ognuno di noi una miniera di possibilità. Nella molteplicità dei talenti abbiamo riconosciuto la forza e la bellezza di ognuno di noi e abbiamo cercato di trasmetterlo dando la possibilità ai ragazzi di raccogliere più di un bollino, per ricordarsi di non essere destinati ad una sola strada.

 

Il serious game ed i ragazzi non hanno solo compreso, hanno anche restituito uno sguardo ulteriore, una prospettiva che solo un giocatore impegnato in qualcosa di molto serio poteva dare.

 

I ragazzi hanno affrontato i minigiochi come tante piccole sfide personali, trasformando così la ricerca del talento in un percorso tramite il quale è anche possibile trovare un limite e superarlo.

 

Questo ci ha permesso di guardare al fondo del nostro lavoro e scoprire che ciò che consideravamo profondo era soltanto il primo livello di un mondo tutto da scoprire.

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