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Sguardo e sguardi narranti / A cura di AnnaMaria Calore / Vol.19 N.2 2021

Guardare il passato, ai suoi margini: sguardi microcomunitari nel videogioco italiano

Nicoletta Raffa

magma@analisiqualitativa.com

Laureata in Comunicazione per l’Impresa, i Media e le Organizzazioni complesse presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, con una tesi sulla comunicazione degli artisti indipendenti italiani. Collabora con il Dipartimento di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dello stesso Ateneo. Tra i suoi interessi di ricerca ci sono le rappresentazioni di minoranze nei media audiovisivi.

 

Francesco Toniolo

magma@analisiqualitativa.com

(Phd) Insegna alla NABA di Milano, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e alla Scuola Internazionale Comics di Firenze. Si occupa principalmente di videogiochi, YouTube e comunità online. Intorno a questi temi ha pubblicato articoli su riviste scientifiche, contributi a volumi miscellanei e saggi monografici come Storytelling Crossmediale. Dalla letteratura ai videogiochi (Unicopli 2018, con Diego Cajelli) e Il mondo dei brony. Indagine sul fandom di My Little Pony (Edizioni Paguro 2019). È inoltre curatore della miscellanea Cristalli di sogni e realtà. La cultura di Final Fantasy (Unicopli 2020) e uno degli autori dell’antologia Corrispondenze (La Nuova Italia 2018), in cui ha lavorato principalmente al volume di epica, per la scuola secondaria di secondo grado.

 

Abstract

Il contributo analizza le modalità rappresentative con cui i videogiochi indipendenti italiani, nell’ultimo decennio, stanno diffondendo testimonianze locali e microcomunitarie, soprattutto legate a uno specifico passato, più o meno prossimo. Molti di questi videogiochi si discostano dalle narrazioni più note. L’articolo intende portare alla luce e analizzare queste tendenze in crescita, partendo anche da un confronto con le scelte più o meno consapevoli dei team di sviluppo. L’articolo, dopo una introduzione sintetica sul panorama videoludico italiano e la presentazione della metodologia adottata, presenta e discute le scelte dei vari team, partendo da una serie di interviste semistrutturate ai membri dei suddetti team. L’articolo, infine, si chiude riflettendo su come determinate scelte di game design design, soprattutto legate al punto di vista, siano funzionali o meno per la rappresentazione proposta.

 

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Introduzione: i videogiochi in Italia e il territorio

 

Più di un contributo si è interrogato sulle specificità dei videogiochi italiani. Alla luce di proposte come i regional game studies (Liboriussen e Martin, 2016), infatti, il quadro degli studi videoludici ha progressivamente complessificato e problematizzato gli originari approcci, spesso basati su una dicotomia di fondo tra le produzioni giapponesi e quelle anglosassoni, con una maggior attenzione per altre realtà, più specifiche e spesso marginali.

 

L’immagine che emerge è quella di un panorama videoludico inizialmente dominato dalle pratiche di pirateria che importano e rielaborano prodotti esteri (Fassone, 2016 e 2017; Tosoni, Tarantino e Pachetti, 2020), e che ha vissuto un travagliato processo di crescita e professionalizzazione (Barca e Salvador, 2012), rimasto parzialmente incompiuto. Il quadro complessivo che emerge (Gandolfi, 2015; Tarantino e Tosoni, 2019; Gandolfi e Carbone, 2020) è quello di un mercato primariamente dedicato al consumo, in cui le produzioni interne sono nella maggior parte dei casi dei piccoli progetti, classificabili – pur con tutte le problematiche definitorie di questa etichetta (Ruffino, 2013 e 2021) – come indie. Più precisamente, in Italia «non esiste una struttura produttiva tale da generare una sua alternativa indipendente […]. Eppure esiste in Italia un numero sempre crescente di sviluppatori di videogiochi che si dichiarano indipendenti» (Ruffino, 2020, p. 242). Questa indipendenza non si definisce dunque come contrasto e ribellione a un panorama mainstream (limitato in Italia a poche eccezioni), ma come una autogestione nel lavoro su progetti di piccole o medie dimensioni. Su questa produzione indie sono state condotte alcune indagini sulle narrazioni che essa propone (Fassone e Nosenzo, 2016) e su alcune sue specifiche parti (come i punta-e-clicca: Giovannini e Toniolo, 2020).

 

Restano in ogni caso aperte numerose strade percorribili, per la mappatura di quelle che potrebbero rappresentare le peculiarità della produzione italiana. Uno di questi percorsi, che unisce differenti prodotti, soprattutto dell’ultimo decennio, riguarda l’attenzione dei videogiochi per comunità marginali, storie locali e microcomunità. Come si vedrà nel dettaglio più avanti, queste produzioni videoludiche guardano al di fuori delle narrazioni più note, per andare a scoprire e raccontare ambienti periferici, che magari sono stati attraversati da particolari conflittualità o hanno preservato tradizioni altrove perdute. In tal senso sono anche dei videogiochi che si inserirebbero bene nell’ottica delle proposte europee sul settore videoludico (Haggis et al., 2018, p. 18), legate all’attenzione per la diversità culturale dell’Europa, il cultural heritage e l’attenzione ai temi sociali.

 

Si è detto in precedenza che questi videogiochi “microcomunitari” sono emersi soprattutto nell’ultimo decennio, ma il rapporto tra il medium videoludico e il territorio italiano inizia già prima.

 

Come avviene sempre in casi del genere, fissare un primato in senso assoluto apre a numerose problematiche, a seconda di quali siano i parametri considerati. Le ambientazioni italiane compaiono piuttosto presto, nei videogiochi, ma nella maggior parte dei casi si tratta di località già ben note, che vengono recuperate in maniera più o meno diretta anche in produzioni di ampio successo: «Si assiste infatti a una certa stereotipizzazione nella scelta delle location: le rotte dell’Italia videoludica si concentrano attorno alle mete più tradizionalmente turistiche» (Dresseno, 2020, p. 34). È una situazione per certi versi assimilabile a quel che fu il Grand Tour: un viaggio relativamente avventuroso in alcune località italiane selezionate per la loro rilevanza storico-artistica, spesso con ben poche deviazioni rispetto agli itinerari più frequentati (Brilli, 1995 e 2006).

 

Sono località di richiamo, come Firenze e Venezia. Quest’ultima, a titolo d’esempio, compare in videogiochi come Assassin’s Creed: Brotherhood (2010) e nel più piccolo Venetica (2009), ma è anche la fonte di ispirazione per città immaginarie come quelle che compaiono in Ni No Kuni II: il Destino di un Regno (2018) e in Final Fantasy XV (2016). Sono alcuni esempi di produzioni estere che guardano al territorio italiano, in quelli che sono i suoi luoghi più turisticamente noti, per trarne recuperi da inserire nei videogiochi.

 

Osservando le produzioni italiane, invece, va a delinearsi uno scenario differente. Embrionali esempi di una differente attenzione per il territorio sono già riscontrabili in videogiochi come 1000 Miglia o Millemiglia (1991) di Simulmondo, un gioco di corse che utilizzava i paesaggi italiani. Può essere considerato uno dei primi casi di sguardo rivolto al territorio italiano, seppur in forma ancora molto embrionale e con due spinte contraddittorie al suo interno. Da un lato, infatti, il videogioco appare troppo poco definito per poter riconoscere al suo interno l’italianità dei paesaggi, dall’altro la stampa anglosassone lo critica perché troppo italiano e localistico (Carbone, 2020).

 

Casi più strutturati e ancorati a realtà territoriali più specifiche si ritrovano una decina di anni più tardi. Nel 2004, in particolare, viene pubblicato Un tranquillo weekend a Capri da S&G Software. In questa avventura grafica è possibile esplorare Capri e i suoi dintorni, tramite le fotografie statiche che compongono le diverse parti navigabili della mappa di gioco. Nello stesso anno, inoltre, viene anche pubblicato I Misteri di Maggia – Il tesoro dei templari (2004) da Stelex Software. Questo videogioco è ambientato in una località del Canton Ticino ed è stato realizzato da un team svizzero, ma può comunque essere considerabile perlomeno un videogioco sviluppato da parlanti italofoni. I Misteri di Maggia, similmente a Un tranquillo weekend a Capri, porta l’utente a esplorare l’ambientazione attraverso fotografie scattate sul posto. I due videogiochi sono anche accomunati dall’inserimento di elementi fantastici o esoterici in quella che è la storia del luogo. Ciò che li differenzia è la scelta di quest’ultimo: se già Capri si colloca al di fuori dei luoghi italiani più frequentati nei videogiochi, con Maggia la scelta ricade su un territorio decisamente poco noto ai più.

 

È solo col decennio successivo, tuttavia, che queste produzioni si ramificano e differenziano. Fino ad allora rimangono questi e pochi altri casi isolati, poi i percorsi si moltiplicano. Nel 2012 viene pubblicato Anna dallo studio Dreampainters, seguito l’anno successivo da una versione extended. È un’avventura interamente ambientata in una segheria nei pressi di Periasc, una piccola località nella valle di Ayas. Oltre a ricostruire l’ambientazione di questa segheria, il videogioco va a raccontare la cultura e il folklore del territorio. Pochi anni più tardi, nel 2016, arriva The Town of Light di LKA, ambientato nell’ex manicomio di Volterra. Come segnalato da Luca Dalcò, uno dei creatori del videogioco, il suo obiettivo «è quello di utilizzare il videogame per raccontare storie legate al territorio, alla sua storia e, soprattutto, per parlare di temi di rilevanza sociale» (Dalcò, 2020, p. 51). E aggiunge che quel videogioco è stata una occasione per «fare una descrizione realistica del luogo, che era un luogo tremendo ma non perché ci fossero dei sadici, ma perché è stato frutto di un determinato periodo storico e di una certa cultura» (Ibid., p. 53). Si segnala anche che, nel momento in cui si sta scrivendo questo articolo, è prevista la futura pubblicazione di un altro gioco del team LKA, Martha is Dead, ambientato durante il 1944 nel territorio del Chianti (Contin, 2021). Sempre nel 2016 il duo artistico We Are Müesli pubblica The Great Palermo, una visual novel legata alla cultura gastronomica locale.

 

L’anno successivo arriva The Land of Pain di Alessandro Guzzo, un’avventura horror in cui l’ambientazione è basata sui dintorni dell’altopiano di Asiago. Nello stesso anno viene anche pubblicato Wheels of Aurelia, del team Santa Ragione.Come suggerisce il nome stesso, il videogioco è ambientato lungo la via Aurelia, «attraversando non tanto i luoghi più noti quanto quelli [sic] scorci diversi o peculiari, collegati alla storia di quegli anni, come ad esempio il Faro di Civitavecchia o San Pancrazio fuori Roma» (Righi Riva, 2020, p. 47).

 

Il 2018 è l’anno di pubblicazione di Mi Rasna – Io sono etrusco, realizzato da Entertainment Game Apps. Come intuibile dal nome, è un videogioco legato alla storia della popolazione etrusca. Non è il primo videogioco storico del team, che già negli anni precedenti aveva realizzato prodotti come Prosperity – Italy 1434 (2014) e Mercantia – Italy 1252 (2015), ma è soprattutto con Mi Rasna – Io sono etrusco che si evidenzia una specifica attenzione per i luoghi, in questo caso in ottica archeologica, che proseguirà anche in alcuni dei successivi videogiochi realizzati da parte di questo team, in particolare il recente The Umbrian Chronicles (Entertainment Game Apps, 2021).

 

Sempre nel 2021 è anche stato pubblicato A Painter’s Tale: Curon, 1950 dal team Monkey Tales Studio. Quest’ultimo è un progetto realizzato in collaborazione con IVIPRO (Italian Videogame Program), una realtà che mira ad agevolare la produzione di videogiochi ambientati in Italia e di contribuire alla diffusione della cultura italiana tramite il medium videoludico. L’anno prima, invece, era stato pubblicato The Hand of Glory (Madit Entertainment & Daring Touch, 2020), parzialmente ambientato nel piccolo borgo romagnolo di San Leo. Nello stesso anno, Julián Palacios ha reso disponibile un piccolo progetto intitolato Promesa, un videogioco fortemente onirico in cui compaiono però anche riferimenti a luoghi reali, come la basilica di San Zeno a Verona e la piazza del paese Cesano Maderno (MB). In quest’ultimo caso si tratta solo di brevi inserti, ma le peculiari scelte – legate al vissuto dell’autore – meritano comunque una menzione.

 

La metodologia

 

Il presente lavoro si propone quindi di indagare una tendenza in atto nel panorama videoludico indipendente italiano nell’ultimo decennio: la ricorrenza di ambientazioni italiane “minori”, piccoli centri e villaggi, distanti dai luoghi del turismo che più spesso vengono “abitati” da chi preferisce un’ambientazione “all’italiana” stereotipica, unitamente al dato temporale, l’interesse per un passato più o meno recente che accomuna questi prodotti.

 

Con l’obiettivo di ricostruire questa tendenza, individuarne sentieri comuni e battuti, restituirne le coordinate, si è scelto di parlare con un campione di persone che hanno lavorato a vario titolo alla realizzazione dei videogiochi in cui questa doppia tendenza cronotopologica è presente e osservabile. In ordine di uscita: I Misteri di Maggia – Il tesoro dei templari (Stelex Software, 2004), Un tranquillo weekend a Capri (S&G Software, 2004), Anna (Dreampainters, 2012), The Town of Light (LKA, 2016), The Land of Pain (Alessandro Guzzo, 2017), Wheels of Aurelia (Santa Ragione, 2017), Mi Rasna – Io sono etrusco (Entertainment Game Apps, 2018), The Hand of Glory (Madit Entertainment & Daring Touch, 2020), A Painter’s Tale: Curon, 1950 (Monkey Tales Studio, 2021).

 

Nell’individuazione del campione si è cercata una rappresentatività qualitativa e non quantitativa (Diefenbach, 2009, p. 879). A questo stadio della ricerca almeno, risultati qualitativamente affidabili sono stati preferiti a risultati quantitativamente rilevanti. Per questo si è scelto di parlare con un campione “esperto” e non necessariamente rappresentativo da un punto di vista statistico. Gli autori sono riusciti a raggiungere almeno un membro per team in sette casi su nove. Le persone da intervistare sono state contattate tramite posta elettronica o app di messaggistica istantanea (Messenger) e le interviste si sono svolte su piattaforma Zoom o Skype tra giugno e luglio 2021. Per ciascun prodotto del campione è stato intervistato un membro del team di lavoro; in unico caso (A Painter’s Tale: Curon, 1950), gli intervistati sono stati due.

 

La scelta di metodo è ricaduta sull’intervista semistrutturata per una serie di ragioni. Si ricordi innanzitutto che la tendenza cronotopologica videoludica che qui vogliamo indagare è stata finora solo tangenzialmente oggetto di interesse accademico e l’intervista semistrutturata è indicata, tra le altre, in situazioni in cui si conosce ancora poco del topic di ricerca (Adams, 2010, p. 18). Questo tipo di intervista permette ai rispondenti di assumere il ruolo di esperti e “informare” la ricerca (Leech, 2002, p. 668). I racconti degli intervistati diventano così una prima fonte e una fonte di prima mano, fondamentale per un affondo verticale sul tema. La seconda ragione risiede nella forza dell’intervista semistrutturata come strumento per indagare in profondità punti di vista soggettivi (Evans, 2018, p. 3), ascoltare le voci degli intervistati e raccogliere le loro esperienze, dal momento che anche le storie possono essere strumento di conoscenza (Seidman, 2006, p.7).

 

Grazie alla sua natura “di mezzo”, l’intervista semistrutturata lascia infatti ampio spazio di manovra all’intervistato ma allo stesso tempo, consente all’intervistatore di mantenere un controllo parziale sulla conversazione attraverso domande mirate sui temi che si intendono coprire (Rabionet, 2009, p. 204). Tutto ciò comporta la flessibilità: come possibilità di variare l’ordine delle domande rispetto alla traccia stabilita per lasciare fluire l’intervista al modo di una conversazione (Longhurst, 2003, p. 147), possibilità di modificare alcune parole delle domande (nell’ambito di una ricerca qualitativa, la validità e l’affidabilità dei risultati di ricerca non riposano sulla ricorrenza di una medesima parola ma su veicolazione e mantenimento del medesimo significato: Barribal e While, 1994, p. 329), ma soprattutto possibilità di cambiare le domande di ricerca (Diefenbach, 2009, p. 877). Diefenbach (2009) sottolinea l’importanza di rinegoziare gli interrogativi di ricerca durante il processo di ricerca stesso e l’eventualità che l’oggetto di ricerca e quindi le domande per trovarlo, si facciano più chiari in fieri.

 

La flessibilità inoltre consente il probing: la richiesta dell’intervistatore all’intervistato di ulteriori spiegazioni o approfondimenti su uno specifico oggetto o argomento dell’intervista. Il probing può essere non verbale (pause, gesti) o verbale (altre domande) e non può prescindere dall’ascolto (Given, 2008, p. 681). Per simili ragioni si è scelto di analizzare il materiale emerso dalle interviste semistrutturate tramite thematic analysis. In continuità con l’intervista semistrutturata, l’analisi tematica consente infatti di mantenere il focus su esperienze e vissuti degli intervistati che andranno così a informare la ricerca. L’analisi tematica è stata preferita anche per la possibilità di individuare temi ricorrenti in maniera flessibile: non necessariamente sulla base della loro occorrenza ma in quanto parlanti e in dialogo con l’obiettivo e l’oggetto della ricerca (Evans, 2018, pp. 4-5).

 

L’analisi tematica

 

Le interviste semistrutturate hanno coinvolto un gruppo di persone che hanno lavorato a titolo diverso per i prodotti sopra descritti. Le diverse citazioni presenti in questo paragrafo sono estratte delle interviste agli sviluppatori di volta in volta nominati nel testo. Gli autori hanno intervistato uno dei due ideatori e sviluppatori de I Misteri di Maggia- Il tesoro dei templari, lo sceneggiatore e game designer di Anna, l’ideatore e poi direttore artistico e autore dei testi di The Town of Light, lo sviluppatore unico di The Land of Pain, il budget manager di Mi Ransa – Io sono etrusco, l’ideatore di The Hand of Glory, e due degli autori di A Painter’s Tale: Curon, 1950. Si precisa che, trattandosi di videogiochi indipendenti, i gruppi di lavoro sono spesso ristretti, prevedono ruoli flessibili e prediligono logiche laboratoriali. Sono, in alcuni casi, prodotti amatoriali e/o nati per divertimento.

 

Stefano Maccarinelli, uno dei due membri del team di sviluppo de I Misteri di Maggia racconta, ad esempio, la genesi tutta amatoriale del prodotto, «nato per scherzo tra due amici» appassionati di videogiochi e con zero budget. Luca Dalcò, il creatore di The Town of Light, dichiara di essersi inizialmente cimentato in «esperimenti di visualizzazione» sulla struttura dell’ex manicomio di Volterra, in cui il videogioco è ambientato, senza l’intenzione di farne un gioco, subentrata solo in un secondo momento. Similmente Alessandro Guzzo, ideatore e sviluppatore unico di The Land of Pain, riferisce di aver imparato da autodidatta e in fieri, occupandosi di tutti gli aspetti del lavoro, dalla storia alla programmazione, dall’audio al level design.

 

Tutti i videogiochi del campione, si è detto, sono accomunati dalla predilezione per le piccole storie, ambientate in luoghi non sempre noti e in un passato recente. Su queste dimensioni in particolare si è concentrato il confronto con gli intervistati.

 

1. Il luogo

 

La preferenza per luoghi “minori”, spesso sconosciuti al turismo e non sempre coincidenti con l’immagine stereotipica di Italia, sembra dettata da almeno due ordini di motivazioni: la prossimità e la curiosità verso una realtà presente o passata con la quale si è venuti in contatto. Specificamente, la prossimità sembra aver orientato la scelta di Stelex Software ne I Misteri di Maggia («siamo nati e cresciuti in questo paesino, siamo molto affezionati»), dei Dreampainters in Anna (come dichiarato da Simone Tagliaferri, sceneggiatore e game designer, Periasc è un luogo particolarmente caro al capo programmatore del progetto, Alessandro Monopoli) e di Alessandro Guzzo (The Land of pain) che vive nell’altopiano di Asiago, dove il videogioco è ambientato. Diversamente, Luca Dalcò (The Town of Light) è entrato in contatto con la realtà dell’ex manicomio di Volterra tramite ricerche online, pur conoscendo e avendo in passato frequentato il comune toscano. Maurizio Amoroso (Mi Rasna – Io sono etrusco) dichiara di vivere in Toscana ma motiva l’ambientazione cronotopologica del prodotto con la sua «passione personale per la storia».

 

L’ambientazione di A Painter’s Tale: Curon, 1950 è frutto dei sopralluoghi di Andrea Dresseno per IVIPRO (Italian Videogame Program), la cui mission consiste proprio nella valorizzazione del patrimonio storico e culturale italiano attraverso il medium videoludico. La storia di Curon e la vista del campanile sommerso hanno destato l’interesse di Dresseno e poi incontrato le peculiarità produttive e tecniche del piccolo studio bolognese Monkey Tales Studio. In un solo prodotto, The Hand of Glory, a condizionare la scelta dell’ambientazione è l’interesse per un personaggio storico e di riflesso, per il luogo in cui la storia di questo personaggio si svolge. L’ideatore di The Hand of Glory, Stefano Rossitto, motiva infatti la scelta del borgo di San Leo, in Emilia-Romagna, come setting del videogioco con la sua fascinazione per la figura del Conte di Cagliostro che proprio nel piccolo comune emiliano, sarebbe morto senza lasciare traccia. È in questo secondo caso, quando l’incontro con il luogo “minore” avviene per interesse e non per prossimità, che la scelta di ambientare il proprio prodotto in quel luogo è più consapevole e si carica di significati. La scelta di ambientare The Town of Light a Volterra, e segnatamente nell’ex ospedale psichiatrico del comune toscano, è nelle intenzioni del creatore, Luca Dalcò, un modo per dare l’abbrivio alla costruzione di una nuova identità territoriale italiana e, oltre le rappresentazioni normate, fare luce sul lato oscuro e nascosto del nostro Paese.

 

In The Hand of Glory il cambio di ambientazione da Miami, dove il detective Lazarus Bundy, protagonista del videogioco, si è ritirato, al borgo di San Leo, è un modo per ampliare il respiro del gioco e renderlo dinamico. Miami è una città «che non ha bisogno di essere raccontata», viceversa la scelta del borgo risponde al desiderio dell’ideatore di portare all’attenzione una piccola realtà poco nota e magari suscitare il desiderio di visitarla. Rossitto, cita inoltre, tra i riferimenti che hanno orientato la scelta del luogo, Gabriel Knight 3: Il mistero di Rennes- le- Château (Sierra Entertainment, 1999), avventura grafica ambientata in un piccolo villaggio francese (Rennes- le- Château, appunto). Anche gli autori di A Painter’s Tale: Curon, 1950, hanno consapevolmente scelto di deviare dagli itinerari turistici più rappresentati per dare voce a un luogo e a un pezzo di storia poco noti. Attraverso il viaggio di un pittore contemporaneo nella Curon sommersa, il videogioco racconta gli anni del regime fascista nel borgo altoatesino e mette a tema la condizione dei suoi abitanti, divisi tra tedesco e italiano, natura e progresso, oppressi e costretti a migrare dopo l’allagamento del 1950. Di natura differente, ma altrettanto consapevole, la scelta di ambientare Mi Rasna – Io sono etrusco, nelle regioni del centro Italia in cui l’espansione etrusca è arrivata e si è consolidata. Qui, tracciare i confini del territorio in cui si sceglie di ambientare il videogioco, è funzionale all’intessitura di rapporti con le istituzioni, i musei e i centri archeologici che in quell’area operano e la cui collaborazione è fondamentale per un prodotto che da principio, si propone di avere un solido impianto storico-archeologico.

 

A latere emergono almeno tre temi minori che consentono di tracciare altri sentieri battuti. La fascinazione per i luoghi abbandonati è il primo e sembra aver influenzato consapevolmente tre dei videogiochi del campione: Anna, The Town of Light, The Land of Pain. Segue il bisogno di contenuto: in due casi (The Town of Light, Mi Rasna – Io sono etrusco), gli intervistati affermano che la scelta dell’ambientazione si lega anche alla volontà di includere nel prodotto e trasmettere contenuti: «anche i videogiochi potrebbero e dovrebbero avere un maggior numero di contenuti culturali, drammatici…» (Luca Dalcò); «Da appassionato di storia e di archeologia ho sempre immaginato dei videogiochi che dessero dei contenuti seri, attendibili e quindi basati su pezzi della nostra storia» (Maurizio Amoroso). E infine l’ambizione alla conservazione. La scelta di ambientare I Misteri di Maggia in questa località del Canton Ticino nasce anche dall’intenzione dei due sviluppatori di fermare il paese nei primi anni del nuovo Millennio, fotografandolo e rendendolo esplorabile a futura memoria, a fronte dei cambiamenti che già durante la lavorazione del gioco, erano intervenuti su Maggia e che avrebbero, negli anni successivi, continuato a mutarne il volto.

 

Il tema della conservazione interessa anche The Town of Light. In questo caso, la conservazione non ha contribuito (non direttamente, almeno) a orientare la scelta del luogo ma è subentrata, a progetto concluso, quando si è realizzato che la rappresentazione dell’ex ospedale psichiatrico di Volterra nel videogioco non è la copia esatta della struttura ma vista la decadenza a cui quest’ultima sta andando incontro, potrebbe nei decenni a venire, esserne l’unica copia esistente e quindi, possibile da ricordare.

 

1.1 Il realismo

 

Tutti i prodotti del campione sono caratterizzati dalla tensione al realismo e dall’intenzione di restituire fedelmente i luoghi in cui sono ambientati. Il desiderio di verosimiglianza è infatti denominatore comune del lavoro di tutte le persone intervistate e su di esso vale la pena soffermarsi per comprendere come i riferimenti temporali, e storici e fantastici (che discuteremo più avanti), si collocano in queste fedelissime riproduzioni spaziali. I Misteri di Maggia consente di percorrere e a tutti gli effetti visitare questo paese del Canton Ticino attraverso una serie di fotografie statiche, con un modello esplorativo che riprende le schermate del noto videogioco Myst (Cyan Worlds Inc., 1993), caratterizzato da «una costitutiva frammentazione [e] una rete di collegamenti tra i differenti rammenti tale da permettere una percorrenza plurima» (Colombo ed Eugeni, 1996, p. 194).

 

Nel caso di Anna invece, le fotografie della segheria di Periasc, in valle di Ayas, hanno rappresentato il materiale di partenza, poi rielaborato per rendere questo piccolo mondo “chiuso” com’era quando il team di sviluppo lo ha visitato. Le fotografie sono state poi rimodellate per arrivare alle grafiche 3D. Molti degli oggetti di cui il giocatore si munisce durante il gioco sono infatti fedeli copie tridimensionali di oggetti ancora oggi presenti all’interno della segheria. In The Land of Pain è stata impiegata la tecnica della fotogrammetria, grazie a cui i luoghi dell’altopiano di Asiago sono riprodotti nitidamente, a coniugare la passione del creatore e sviluppatore unico, Alessandro Guzzo, per la natura, la fotografia e appunto, i videogiochi («era anche una scusa per stare nella natura e ricreare quegli ambienti lì…»).

 

Nel caso di Mi Rasna – Io sono etrusco, invece, quel che si vuole restituire in maniera fedele è la storia, non solo i luoghi. A titolo d’esempio: nel gioco sono inserite le immagini di opere e ritrovamenti etruschi. Sulla mappa, però, gli oggetti in questione non sono collocati nella città in cui si trova il museo che li ospita oggi, ma nel luogo del loro effettivo ritrovamento. In questo prodotto dunque, realismo è letteralmente e concretamente, restituzione: restituzione di opere e ritrovamenti al loro luogo di provenienza. I casi di The Hand of Glory e A Painter’s Tale: Curon, 1950 si discostano dalla tendenza individuata.

 

La San Leo di The Hand of Glory è una cittadina “cartoonesca” in due dimensioni, sebbene molti scenari siano effettivamente riprodotti in maniera fedele. Per la rappresentazione del borgo altoatesino e dei personaggi della storia di A Painter’s Tale: Curon, 1950 si è invece impiegato un motore in voxel che rende Curon meno realistica di altri scenari presenti nei videogiochi passati in rassegna fin qui. Tale scelta ha rappresentato, nelle parole di Matteo Lollini, un’autentica «sfida estetica» che si inserisce in un prodotto assolutamente e saldamente ancorato alla realtà, non solo storica ma anche contemporanea, e che lavora sui contrasti (linguistico, politico, estetico appunto). E proprio nella ricerca del contrasto tra una narrazione reale e attualizzabile e una tecnica visiva irrealistica (oltre che in ragioni di natura economica), è il significato di questa scelta estetica.

 

1.2 Il rapporto con il territorio e le istituzioni

 

Trasversalmente, e a prescindere dalle ragioni che hanno orientato la scelta del luogo, vale la pena sottolineare il riverbero che alcuni dei prodotti videoludici del campione hanno avuto sul territorio e sul rapporto con le istituzioni. Stefano Maccarinelli di Stelex Software riferisce, ad esempio, l’entusiasmo con cui il paese ha accolto I Misteri di Maggia. Sebbene, si è detto, la scelta degli sviluppatori di ambientare il videogioco nel proprio paese d’origine non fosse votata consapevolmente alla valorizzazione del territorio, pare che essa abbia sortito comunque un effetto simile.

 

All’uscita de I Misteri di Maggia, riferisce Maccarinelli, si è sollevato l’interesse di radio e televisione locali, e dell’ente turistico. Alcune persone che avevano videogiocato I Misteri di Maggia, si sono recate sui luoghi del gioco per scattare delle foto, altre hanno voluto conoscere gli sviluppatori. Anche The Town of Light, nelle parole di Luca Dalcò, ha beneficiato in tutte le fasi di sviluppo, dai sopralluoghi nella struttura dell’ex manicomio di Volterra all’evento di lancio del prodotto, del supporto e della disponibilità delle istituzioni. Significativa in tal senso la relazione tra il team di The Town of Light e la onlus Inclusione Graffio e Parola che dal 2010 si occupa di tutelare e promuovere il lavoro di NOF4, al secolo Fernando Nannetti. Nannetti, massimo esponente italiano di Art Brut, è stato un paziente dell’ex manicomio di Volterra, sulle cui mura perimetrali, negli anni della permanenza nella struttura, ha realizzato un enorme libro graffito, adoperando come unico mezzo la fibbia del gilet.

 

Il successo di The Town of Light ha segnato un piccolo incremento nelle visite guidate dell’ex ospedale psichiatrico proposte dalla onlus, che a sua volta ha significato maggiore sostenibilità del progetto di Inclusione Graffio e Parola e la salvaguardia di altre porzioni del graffito di Nannetti. Come sottolineato dall’intervistato si tratta di realtà di dimensioni esigue («È tutto molto piccolo, siamo piccoli noi, sono piccoli loro»), a cui tuttavia il mutuo sostegno su piccola scala può giovare all’attivazione di un microcircolo virtuoso.

 

Ancora diverso nelle intenzioni ma simile negli esiti, il caso di Mi Rasna – Io sono etrusco, in cui, nel merito del rapporto con le istituzioni, la chiave non è il supporto, ma il coinvolgimento. La strategia di Entertainment Game Apps consiste infatti nel coinvolgere attivamente enti e istituzioni culturali del territorio, mettendo in comune il patrimonio museale e archeologico e la visibilità che il medium videoludico può garantire a tale patrimonio. La buona riuscita dell’operazione consente poi di reinvestire profitto in attività sul territorio (laboratori didattici ed eventi), anche qui, in un circolo virtuoso di cui beneficiano la sostenibilità del prodotto videoludico e l’attività di enti e istituzioni culturali.

 

The Hand of Glory infine ha goduto del supporto del comune di San Leo, nelle fasi di produzione e distribuzione. Quella testimoniata da Stefano Rossitto è una sinergia basata su un reciproco scambio di visibilità: il team di sviluppo si è preoccupato di restituire in maniera fedele e coinvolgente (per il videogiocatore) il borgo, chiedendo alle istituzioni suggerimenti nel merito dei luoghi da rappresentare, il comune ha valorizzato il prodotto videoludico all’interno della propria guida turistica e ne ha incoraggiato la diffusione tramite appositi eventi.

 

Anche l’intenzione di raccontare e rappresentare il territorio in modo da invogliare il videogiocatore a visitare quel luogo, sembra avere avuto un effettivo riscontro. L’intervistato racconta infatti di avere ricevuto fotografie di persone che avevano videogiocato The Hand of Glory, negli scenari rappresentati all’interno del prodotto. Al netto dei dialoghi proficui che in questi casi, il medium videoludico si è dimostrato capace di generare, gli intervistati sottolineano anche il sospetto con cui talvolta, e soprattutto all’inizio, le istituzioni guardano al videogioco come mezzo: «Nel paese il videogioco è visto ancora oggi come un po’ uno strano passatempo punto e basta» (Stefano Maccarinelli); «All’inizio […] un attimino ci hanno studiato» (Luca Dalcò); «se noi avessimo chiesto soldi per fare il nostro prodotto, credo che moltissimi non avrebbero partecipato» (Maurizio Amoroso); «ci sono dovuto stare dietro per ottenere tutte queste cose che ti ho detto, non è stato un automatismo» (Stefano Rossitto). Il fatto che tali reticenze siano state superate o aggirate dimostra però che un’alleanza di questo tipo e per di più virtuosa, è non solo possibile ma anche auspicabile.

 

2. Il tempo delle piccole storie

 

Come anticipato, i prodotti videoludici del campione sono connotati oltre che localmente dalla preferenza per luoghi “minori”, anche temporalmente dalla predilezione di uno specifico passato che per ragioni e con funzioni diverse, si inserisce nella narrazione. Nel solco della distinzione operata tra prossimità e curiosità come driver che hanno orientato la scelta del luogo, si motiva anche la scelta del tempo. In generale, si è notato che laddove la scelta del luogo è stata suggerita da interesse e curiosità verso una realtà con cui gli intervistati sono venuti in contatto, l’ambientazione temporale si piega alla narrazione e di essa si serve per veicolare un messaggio. Nei casi in cui invece la scelta del luogo sia stata orientata da prossimità, riferimenti e recuperi del passato sono spesso arbitrari e talvolta fantastici e d’evasione. Più nello specifico, ne I Misteri di Maggia l’esplorazione del paese per mezzo delle fotografie statiche di cui si è detto al paragrafo precedente, è funzionale alla ricerca di un tesoro e allo svelamento del mistero ad esso legato. Si tratta insomma di una caccia al tesoro delle più classiche. E come da titolo esteso, I Misteri di Maggia- Il tesoro dei templari, il tesoro che il videogiocatore dovrà scovare, è un tesoro templare.

 

Il recupero di questo specifico passato leggendario è stato, nelle parole dell’intervistato, frutto di un suo interesse personale, alimentato e supportato dal fatto che a Maggia ci siano numerose chiese e dipinti a soggetto religioso. Similmente, in The Land of Pain, la storia che parte come detto, dall’altopiano di Asiago, apre a sviluppi inattesi che hanno luogo in un’altra dimensione. È in questa dimensione parallela che si colloca il riferimento alla parte di mitologia lovecraftiana sui Grandi Antichi. Stavolta lo sguardo è rivolto a un passato non leggendario ma del tutto fittizio, il cui recupero è però dettato da ragioni analoghe a quelle che hanno mosso gli sviluppatori de I Misteri di Maggia: l’interesse personale. Alessandro Guzzo, sviluppatore unico del videogioco, racconta di essere entrato in contatto con la produzione di Lovecraft proprio durante la lavorazione del gioco e di aver accolto le suggestioni e il mood del suo Universo.

 

Leggermente diverso il caso di Anna. Se nei prodotti appena analizzati non sussiste nessun legame attestato o verosimile tra il luogo in cui il videogioco è ambientato e il passato a cui esso si rivolge, in Anna il passato leggendario a cui si guarda, si origina da ed è strettamente legato al territorio. Intorno alla segheria di Periasc circolano voci e leggende su omicidi verificatisi al suo interno ma di cui non c’è traccia sui giornali locali. E proprio dagli abitanti del luogo, racconta Simone Tagliaferri, sceneggiatore e game designer del progetto, il team ha appreso queste storie. Lo stesso dicasi degli spiriti precattolici che si racconta popolassero la valle di Ayas e che nel videogioco hanno la voce di Anna.

 

Passando al secondo cluster di prodotti, la scelta del tempo in cui ambientare il videogioco è legata alla storia che il luogo, scelto per interesse/curiosità, racconta. E aggiungiamo, non solo il luogo, ma anche la storia legata a quel luogo, sembra aver destato l’interesse/curiosità degli sviluppatori. Il fatto poi che questa storia si sia svolta in un dato lasso di tempo ha reso la scelta di quel periodo quasi obbligata. L’ambientazione di The Town of Light negli anni del regime fascista è funzionale al tipo di racconto che si voleva costruire e al messaggio che si intendeva trasmettere. Nelle parole di Luca Dalcò, lo scopo di The Town of Light è duplice: sensibilizzare sul tema della salute mentale, avvicinando il giocatore alla condizione della giovane protagonista e portando all’attenzione la «crudezza» delle cure psichiatriche in uso meno di un secolo fa, e non dimenticare («se vogliamo avere una memoria di quanto male possano andare le cose, quello forse è il periodo più rappresentativo»).

 

Similmente, gli intervistati considerano l’ambientazione temporale di A Painter’s Tale: Curon, 1950 una «derivazione», dal momento che «la storia di Curon, della vecchia Curon quanto meno, finisce in quell’anno». «Raccontare una storia di confine, una piccola storia» è infatti l’obiettivo di questo prodotto, e segnatamente una piccola storia che possa assurgere a livello universale, come paradigma di tutte le storie, passate e presenti, di oppressione e migrazione. Più complesso il caso di Mi Rasna – Io sono etrusco, in cui la scelta del segmento storico è doppiamente legata al territorio, nei termini in cui è in quelle regioni del centro Italia che gli Etruschi si sono espansi ma è anche in quelle regioni che operano le istituzioni culturali, i centri archeologici e i musei con cui si è detto, è imprescindibile fare rete per un simile progetto. A essere selezionato inoltre non è tanto uno specifico passato, quanto i protagonisti di quel passato: gli Etruschi. E quest’ultima è una scelta puramente aziendale che deriva dall’esigenza di presidiare una nicchia vacante. In ultimo, in The Hand of Glory, la scelta del tempo in cui collocare la storia del videogioco non è derivazione del luogo ma come il luogo, discende dalla scelta del soggetto (il Conte di Cagliostro) e dell’oggetto (l’alchimia) che interessano il creatore e hanno ispirato il prodotto.

 

3. Il genere videoludico

 

Pur con la consapevolezza che il genere videoludico sia una entità mutevole e sfuggente, una tassonomizzazione di comodo ma per nulla predeterminata (Arsenault, 2009), per comodità espressiva sono state rivolte alcune domande agli sviluppatori intervistati anche in termini di genere, perché le etichette utilizzate costituiscono comunque un linguaggio comune con cui i team, i publisher, i giocatori ecc. hanno modo di intendersi rapidamente. Dal punto di vista del genere videoludico, tutti i prodotti del campione sono classificati come avventure in prima persona, eccezion fatta per Mi Rasna – Io sono etrusco, che è un gioco di strategia. Specificamente, I Misteri di Maggia e The Hand of Glory sono avventure grafiche punta e clicca, Anna e The Land of Pain sono avventure grafiche horror, mentre The Town of Light e A Painter’s Tale: Curon, 1950 sono avventure grafiche, la prima sbilanciata sul thriller psicologico e la seconda più esplorativa, che possono essere definite anche walking simulator.

 

In quattro dei prodotti del campione (The Land of Pain, The Town of Light, The Hand of Glory, A Painter’s Tale: Curon, 1950), la scelta dell’avventura come genere videoludico si accompagna al tema trasversale dell’esplorazione. Se per gli sviluppatori di The Land of Pain e A Painter’s Tale: Curon, 1950, l’esplorazione è un’opportunità e la scelta dell’avventura intende proprio offrire al videogiocatore un’esperienza immersiva dell’atmosfera ed esplorativa degli spazi del gioco, nel caso di The Town of Light l’esplorazione rappresenta un rischio. In un prodotto che il suo creatore definisce «drammatico», eccessiva libertà di esplorazione degli spazi da parte del videogiocatore potrebbe voler dire una compromissione (di parte) della sua attenzione ai temi e agli sviluppi della narrazione che sono invece il centro nevralgico da cui The Town of Light trasmette il suo messaggio “politico”.

 

Il caso The Hand of Glory infine pone l’accento non solo sull’esplorazione elicitata dall’avventura, ma anche sull’interattività, che l’ideatore del prodotto considera fondamentale per trattenere il giocatore nello spazio videoludico, senza annoiarlo e anzi cercando di suscitare in lui o lei il desiderio di visitare realmente quel luogo. Infine, nei restanti due casi, la scelta del genere videoludico è stata orientata da ragioni di natura economico-commerciale: la limitatezza di risorse per Anna e la necessità di offrire al mercato un prodotto vendibile (da cui la scelta del gioco di strategia) per Mi Rasna – Io sono etrusco.

 

Una sola scelta possibile?

 

Come visto nel paragrafo precedente, le meccaniche di gioco sono – nella maggior parte dei casi – finalizzate a una esplorazione lenta dell’ambientazione, senza particolari azioni e interattività (niente salti, niente combattimenti, ecc.). Ciò non significa che non ci siano differenziazioni interne. Le stesse definizioni dei generi sono legate, tra le altre cose, alle «meccaniche di gioco e le modalità di inquadratura» (Salvador, 2013, p. 32). L’ultimo elemento risulta qui di particolare rilievo, perché i regimi scopici di questi videogiochi sono in effetti piuttosto differenti, e racchiudono diverse possibilità con cui poter lanciare uno sguardo agli ambienti presentati.

 

C’è innanzitutto la prima persona, riscontrabile in videogiochi come Anna, The Land of Pain, The Town of Light, I misteri di Maggia e Un tranquillo weekend a Capri. Il first person shot videoludico è una delle più immediate espressioni di quell’esperienza soggettiva che Eugeni definisce come epos della soggettivazione, in cui «tra le rappresentazioni dell’esperienza dei soggetti agite direttamente, quelle agite attraverso protesi e mediazioni tecnologiche, quelle proprie e quelle altrui non esiste una differenza sostanziale, in quanto tutte implicano l’ingresso in un regime di simulazione incorporata e di riattivazione di una esperienza vivente» (Eugeni, 2015, p. 63, corsivo dell’autore). In generale è una modalità di inquadratura associata ai cosiddetti sparatutto, cioè a videogiochi molto veloci e in cui si spara a degli avversari per buona parte del tempo. C’è peraltro anche un progetto italiano, ambientato in un territorio slegato dai luoghi più noti del turismo, che rientra in questo genere. Si tratta di Hellgate Senigallia (Doped Games, 2019), una mod di Doom (id Software, 1993) alquanto violenta e blasfema, ambientata a Senigallia, in cui però non si intende mostrare il territorio o la sua storia, ma semplicemente ironizzare partendo da alcune caratteristiche locali. Al di fuori degli sparatutto, però, una prima persona videoludica può anche essere impiegata per garantire il più possibile una illusione di immersività nel personaggio e, di conseguenza, nella ambientazione in cui egli si sta muovendo.

 

In altri casi, invece, la telecamera è in terza persona, esterna al personaggio. È per esempio il caso di A Painter’s Tale: Curon, 1950, in cui è possibile osservare il protagonista che cammina per il paese, con un occhio esterno al suo punto di vista. È peraltro il caso di un videogioco in cui si è particolarmente sottolineata l’estraneità del personaggio protagonista rispetto agli eventi che si ritrova a dover vivere: come accennato, il protagonista è un pittore italiano del presente che si ritrova magicamente trasportato nella Curon del 1950. La terza persona videoludica può allora servire per dare una ulteriore sottolineatura di estraneità al giocatore, che si ritrova comunque a osservare con calma – il videogioco ha un ritmo molto lento – gli eventi, sottolineando però come egli sia lontano dalle vicende che coinvolsero direttamente gli abitanti di quel luogo.

 

Più lo sguardo si allontana, più ci si sofferma sulla visione d’insieme. Mi Rasna – Io sono etrusco, in quanto storia di un popolo, colloca il giocatore nella prospettiva di un occhio che scruta una mappa, dall’alto. Rimane comunque un punto di vista un po’ differente rispetto a quello di molti altri videogiochi strategici, nei quali la mappa «si presenta al gamer con l’illusoria inclinazione che ha un piatto di portata esibito da un cameriere a un commensale. In questa lieve inclinazione simulata della mappa è codificato un significato convenzionale di “offerta”» (Molina, 2003, p. 49, corsivo dell’autore). L’immagine di questa offerta alla “divinità” che scruta dall’alto è dunque mitigata, qui, anche dai costanti riferimenti a eventi e situazioni locali, in cui si torna invece a recuperare quell’attenzione per i dettagli dei luoghi. Un altro caso similare è Wheels of Aurelia, in cui lo sguardo del giocatore segue dall’alto l’automobile che guida lungo la via Aurelia. È uno sguardo di insieme, che ben rispecchia l’idea del gioco, di offrire una panoramica sulla cultura, la politica e i cambiamenti che in quegli anni agitavano l’Italia, attraverso un mosaico di singole storie, di cui però si finisce per osservare l’insieme composito.

 

Ci sarebbe anche da chiedersi se – e quanto – queste varie modalità di visione siano legate non solo al “genere” videoludico di volta in volta selezionato, ma anche alle ragioni originarie che hanno mosso gli sviluppatori. Come si è visto, infatti, queste ultime sono tra loro differenti, con chi è guidato da un’affezione verso un luogo a lui già noto, chi ha scoperto fortuitamente una certa località “marginale” e ha voluto raccontarla e chi ha operato in un modo ancor differente. Come se ciascun percorso individuale portasse con sé la predilezione per uno specifico regime scopico, dove però tutti quanti finiscono per far convergere i variegati sguardi in un’unica direzione: quella del desiderio di scoprire e raccontare ciò che si trova ai margini dei luoghi più noti e frequentati.

 

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