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“Siamo degli osservatori, degli sperimentatori della didattica. Noi e loro. Ogni giorno i ragazzi imparano ad apprendere, noi impariamo ad osservarli. Le materie sono veicoli di questo processo”. Ancona, Liceo Scientifico Savoia Benincasa. Monica Di Costanzo insegna Spagnolo, e la sua scuola è uno dei 22 Istituti che nel 2014 hanno dato vita al movimento Avanguardie Educative, comunità di pratiche dell’innovazione didattica (ne abbiamo parlato qui) nato su iniziativa di Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa). Vogliamo raccontarvelo in questo primo caso studio di Oltre la Dad, la serie di Secondo Welfare che attraverso le voci dei protagonisti della scuola (letteralmente, anche con brevi stralci audio delle conversazioni avute con loro) vuole capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica.

 

 Prof. Monica Di Costanzo – “Siamo osservatori della didattica”

 

Perché proprio il Savoia Benincasa? Perché è un punto privilegiato da cui osservare cosa si fa in Italia per uscire dallo schema tradizionale – cattedra, lezione, interrogazione, valutazione – che è stato travolto da due anni di lockdown. Raccontare cosa accade qui significa andare oltre la Dad – intesa come trasposizione su schermo della lezione frontale – ed entrare in un mondo diverso, dove il digitale può essere leva per una didattica più coinvolgente, inclusiva, efficace.

La TEAL: una metodologia per apprendere come in un laboratorio

Al Savoia il digitale è considerato uno strumento per attuare metodologie di insegnamento innovative, dando corpo a quelle che gli insegnanti di Avanguardie educative chiamano “Idee”. “Tra le prime a essere adottate – spiega Michele Gabbanelli, professore di Inglese – è stata la TEAL (Technology-Enhanced Active Learning), Tecnologia per l’apprendimento attivo. Al MIT, il Massachusetts Institute of Technology di Boston l’hanno sperimentata per insegnare fisica agli studenti e ridurre le bocciature”. Si basa sul lavoro cooperativo in gruppi, sul metodo del brainstorming e sull’insegnamento tra pari. E ha una forte componente tecnologica.

 

Jacopo Giuggioloni “La tecnologia nell’insegnamento”

 

Un esempio di lezione TEAL al Savoia Benincasa è quella sulla “conservazione della quantità di moto e dell’energia cinetica in un urto elastico”, ora di fisica, terzo anno. Lo schema? Un video introduce i concetti chiave sul moto, approfonditi con slide dal docente in una decina di minuti. I ragazzi si spostano quindi in una tribuna intorno a un biliardo giocattolo, e tre di loro danno vita all’esperimento – l’urto tra due palline da biliardo – mentre altri due riprendono con una videocamera ciò che accade. Lo screenshot di tre fotogrammi – prima, durante e dopo l’urto – diventa la traccia del problema: quale la quantità di moto conservata? Quale l’energia cinetica del sistema prima e dopo l’urto?

Si eseguono i calcoli in piccoli gruppi, si condividono i risultati sulla LIM – la Lavagna interattiva multimediale -, si argomentano le conclusioni con il docente e le si deposita su un cloud online. Fisica, editing video, lavoro cooperativo e condivisione dei risultati in una sola ora.

 

Prof. Michele Gabbanelli – “Cosa è il TEAL” 

 

È possibile applicare il TEAL anche a discipline letterarie. In questo caso, gli alunni creano laboratori di ricerca storico-geografica, o analizzano testi narrativi e poetici. I ragazzi partono dal problema storico-geografico o dal testo, li approfondiscono, riflettono su tutti i loro aspetti, deducono attivamente concetti e regole. Il tutto per favorire la pratica laboratoriale, promuovere lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, consentire il miglioramento delle interazioni educative in aula.

Il Debate: documentarsi, vagliare, argomentare

Noi usiamo la tecnologia digitale per potenziare un apprendimento attivo – continua Gabbanelli. Lo facciamo incrociando diverse metodologie. Al TEAL, per esempio, si abbina spesso il Debate, che consiste in un confronto fra due squadre di studenti che sostengono e controbattono un’affermazione apodittica assegnata dal docente, ponendosi in un campo (pro) o nell’altro (contro)”.

La discussione che ne deriva si svolge entro regole e tempi precisi, e viene preparata con esercizi di documentazione ed elaborazione critica. Prevalere sulla squadra avversaria implica doti di retorica e di dialettica ma anche conoscenza approfondita del tema. “Il Debate – spiega ancora Gabbanelli – aiuta i giovani a cercare e selezionare le fonti con l’obiettivo di formarsi un’opinione, sviluppa il pensiero critico, le soft skills e le capacità di speaking, che nel mio caso si svolge in Inglese. Inoltre sviluppa competenze di educazione all’ascolto e l’autostima”.

È quanto viene confermato da Jacopo Giuggioloni, che al Savoia Benincasa frequenta la IV: “Il Debate sblocca la capacità di riflettere e argomentare. In un mondo dove la comunicazione è sempre più rapida ci tocca spesso esporre le nostre idee in pochi minuti. Queste attività improntano noi ragazzi alla vita reale, migliorano le abilità di ragionamento molto di più di un testo argomentativo”.


Jacopo Giuggioloni  “Perché serve il Debate

 

Il Debate si è dimostrato utilissimo durante la pandemia. “In una situazione di clausura – conclude Gabbanelli – il rischio di una curvatura verso una didattica frontale era fortissimo. Inserire strategie alternative che mettessero al centro i ragazzi è stato fondamentale. Eravamo ben equipaggiati: al Savoia Benincasa il Debate era una prassi consolidata anche prima del 5 marzo 2020”.

Circle of viewpoint: guardare da diversi punti di vista

Lo era anche un’altra metodica: la MLTV, acronimo che sta per Making Learning and Thinking Visible e in italiano si traduce in “Rendere visibili pensiero e apprendimento”. È un framework di apprendimento che arriva dall’Università di Harvard e ha un duplice obiettivo: coltivare la disposizione degli studenti a pensare e rendere più profondo l’apprendimento dei contenuti disciplinari.

“I punti cardine della MLTV – spiega Gabbanelli – sono le thinking routines, strutture e procedure didattiche volte a incanalare e rendere “visibili” agli stessi studenti i processi di elaborazione e di apprendimento”. Una di queste routine è il circle of viewpoint, che consente di comprendere e immedesimarsi nel punto di vista degli altri. Anche durante la pandemia, Gabbanelli lo ha usato per far lavorare i ragazzi in lingua inglese su Beowulf, poema anglosassone dell’VIII secolo che parla di eroi, mostri, re e spade fatate. I ragazzi hanno usato quattro diverse applicazioni di collaborative learning. Il poema è prima stato letto collettivamente attraverso una piattaforma di social reading (Actively Learn).

Nome Liceo Scientifico Ancona I.I.S. Savoia Benincasa
Comune Ancona (AN)
Numero studenti 1583
Numero classi 74
Numero insegnanti 164
Ruolo in Avanguardie Educative Scuola fondatrice, capofila e polo
Idee di Avanguardie Educative adottate* Debate, TEAL. MLTV, Spazi flessibili, Flipped classroom, Service Learning

Su Padlet si è poi avviato un brainstorming in cui ogni studente ha postato le proprie impressioni sull’eroismo del protagonista confrontandolo con quello di personaggi dell’attualità. In un foglio condiviso su Google Drive ciascuno ha quindi identificato un punto di vista e ne ha assunto mentalmente il ruolo; ha narrato gli eventi a partire da quel punto di vista e ha chiesto a se stesso e agli altri cosa rimanesse irrisolto da quel punto di vista. Infine, attraverso Hangouts Meet, ogni studente ha ricevuto i feedback dei compagni. Le potenzialità creative dello strumento sono enormi: qualcuno in classe ha scelto “la notte” come punto di osservazione.

La rivoluzione copernicana della valutazione

Seguendo un metodo del genere come si può valutare il grado di apprendimento degli studenti? Con uno sguardo strabico, spiega Gabbanelli.

“Da una parte guardando alle competenze di merito, in questo caso la lingua inglese. Dall’altra alle capacità relazionali maturate durante l’esperienza. Il viaggio, cioè l’interazione tra parti,è la vera meta. Occorre però assumere una logica da osservatori, scevra dal giudizio in senso classico. Bisogna abituarsi e abituare i ragazzi a dare e darsi feedback che sappiano comprendere il processo di apprendimento, valorizzino le positività, condividano le criticità, suggeriscano soluzioni”.

Non che i voti scompaiano, ma perdono centralità: l’idea di valutazione ha subìto in questo caso una rivoluzione copernicana.

 

Prof. Michele Gabbanelli – “Il futuro della didattica è un nuovo umanesimo scientifico” 

E dunque, a cosa serve questo digitale? Almeno a tre cose

Siamo arrivati qui ai primi fili da tirare. Come è evidente, al Savoia Benincasa il digitale non è un fine, ma uno strumento prestato all’innovazione didattica. Certo, c’è anche un tema di dotazioni, che qui sono ricche. Nelle aule del liceo ci sono computer (in pandemia ai ragazzi che non ne erano provvisti ne sono stati dati alcuni in comodato d’uso), LIM, attrezzature per riprese video, software di editing, si usano cartelle drive e si postano i compiti su Classroom per condividerli tra compagni e docenti. Ma si tratta, appunto, di strumenti. La vera sfida sta altrove. E si riassume in tre cose.

Sviluppare il pensiero critico

La prima, a sentire i docenti, è che la didattica digitale integrata serve a “sviluppare pensiero critico”. “Non è vero che questi ragazzi sono digitalizzati – spiega Di Costanzo – sono social, è una cosa diversa. Grazie a uno smartphone possono accedere a una enorme quantità di dati, ma è fondamentale metterli in grado di fare uso critico delle fonti. Discutere, vagliare, confrontare non sono competenze “cancellate dagli strumenti”. Semmai ne vengono potenziate.

Disegnare un apprendimento su misura

La seconda sfida posta dal digitale, che è anche una opportunità, è un “apprendimento su misura”, quindi almeno potenzialmente inclusivo. “Gli strumenti digitali – chiarisce la dirigente scolastica, Maria Alessandra Bertiniconsentono una personalizzazione dell’apprendimento. Il ricorso a queste metodologie innovative centrate sul protagonismo degli studenti porta a una lezione capovolta, in cui sono loro i protagonisti”.

 

Dirigente Scolastico Maria Alessandra Bertini – “Come il digitale favorisce l’inclusione”  

Capovolgere approcci, tempi e spazi

Capovolgimento è la terza parola chiave, che emerge dalle voci del Savoia Benincasa. Di approcci, tempi e spazi.  Quel che serve è innanzitutto un cambio di postura, si direbbe di “assetto mentale”, in chi fino a oggi è stato dietro la cattedra e a volte ne ha fatto uno scudo. Per un insegnante che voglia fare vera didattica digitale integrata si tratta di stare al fianco di chi impara, non più di fronte. “Con i miei studenti imparo tante cose – continua Monica Di Costanzo, insegnante di Spagnolo. È sempre una sorpresa: siamo noi a dover seguire il pensiero dei ragazzi”.

Poi c’è il tempo: la classe capovolta (flipped classroom) qui vuol dire che il tempo di lezione è quello che si passa a casa, perché la lezione diventa un laboratorio dove si apprende molto di più.

E c’è anche un capovolgimento che riguarda gli spazi. “Le aule vanno reinterpretate con arredamenti multiuso – spiega Gabbanelli –. Da noi i banchi possono essere disposti a scacchiera, o in cerchio. La chiamiamo classe scomposta”. Scompare di fatto la cattedra, a quanto pare non solo simbolicamente.  “Lo spazio è opportunità di apprendimento – aggiunge Di Costanzo –. E qui lo spazio anche grazie al digitale è aperto, dinamico: ci si mette dove ci si sente più comodi. La cosa responsabilizza i ragazzi che vivono con rispetto questa libertà condivisa”. Pochissimi i ritardi all’arrivo al mattino, e pochi cellulari nelle ore di scuola se non per finalità didattiche.

 

Prof Michele Gabbanelli – “Che vuol dire al Savoia Benincasa avere spazi flessibili” 

La didattica digitale al tempo della Dad: le lezioni apprese

Tutto questo ha creato una sorta di cuscinetto che ha attutito l’impatto del lockdown. La dirigente Bertini spiega che “la didattica digitale integrata in questo istituto era già attiva da molti anni non solo per le attività in classe, ma anche per le attività di recupero e i lavori a casa. Non è stata la risposta a una emergenza. Questi strumenti sono stati semplicemente adattati e integrati durante la pandemia”. Nell’assenza forzata di relazioni, questi strumenti e questi metodi sono stati fondamentali per il benessere psicologico degli studenti. “Non potevano certo sostituire i rapporti tra  noi studenti – continua Jacopo Giuggioloni – ma sono serviti a non farci sentire spaesati. Ci siamo sentiti “abbracciati” dalla tecnologia, è servita a comunicare a non lasciare indietro nessuno”. O almeno a ridurre i danni. “Per gli studenti BES (cioè con Bisogni Educativi Speciali) – continua la dirigente – l’assenza prolungata di una relazione educativa è stato un elemento di criticità, ma le strategie dei docenti esperti in digitale hanno attutito gli effetti”.

Per tutte queste condizioni di partenza non è stato difficile fin dal primo giorno di lockdown “far partire una vera didattica digitale a distanza” racconta da un altro punto di vista Chiara Soccetti, che in Consiglio di Istituto rappresenta i genitori. “I professori sono stati molto attenti:  oltre a preoccuparsi della didattica in senso stretto, hanno sempre avuto un occhio al benessere psicologico dei ragazzi. Anche per questo mia figlia non ha rallentato il ritmo di studio”. Eppure, perfino al Savoia Benincasa è arduo misurare quale sia stato il costo di questi due anni in termini di deficit di apprendimento. “La pandemia – conclude Bertini – ha di fatto condizionato la rilevazione accurata degli apprendimenti attraverso le prove Invalsi (di cui avevamo parlato qui, ndr): gli esiti non possono essere considerati oggettivamente validi. I due anni appena trascorsi sono stati inenarrabili”.

Resta un ultimo punto: come diffondere tra i professori una cultura del digitale orientata a una didattica così avanzata. Ancora la dirigente scolastica Bertini: “L’elemento più forte di contagio è l’esempio dei professori più attivi. “Guardare facendo” è l’esempio di disseminazione più forte. È molto difficile convivere in una scuola in cui c’è un’innovazione di questo tipo: se non si hanno gli strumenti o la giusta motivazione si va via”. Quando l’asticella dell’innovazione si alza, questo può avere un effetto anche su chi sta in cattedra.

 

 Dirigente scolastica Maria Alessandra Bertini – “Cosa vuol dire stare in una scuola innovativa”  

 

 


#OltreLaDad

È la serie di Secondo Welfare che, partendo dai dati e dalle voci dei protagonisti della scuola, vuole capire quale sarà il futuro della didattica digitale oltre l’emergenza pandemica. Scopri la serie.