La vicenda di Narciso ed Eco si trova nel libro terzo delle Metamorfosi, poema che Ovidio compose tra il III e l’VIII secolo d.C. Il libro terzo comincia col mito di Cadmo sulla fondazione di Tebe e prosegue con la narrazione di altri miti relativi alla storia di questa città, tra cui quello dell’indovino Tiresia, figura che Ovidio utilizza per introdurre il mito di Narciso.

Accecato da Era, Tiresia riceve da Zeus il dono di predire il futuro come compensazione alla perdita della vista. E’ proprio per dimostrare la veridicità di una sua profezia che viene raccontata la storia di Narciso. Alla domanda della ninfa Liriope, madre di Narciso, se il figlio sarebbe vissuto abbastanza a lungo da vedere la vecchiaia, Tiresia rispose: “purché non conosca se stesso”, profezia che si contrappone all’antico precetto delfico “conosci te stesso”, in quanto Narciso troverà la morte proprio dopo aver preso consapevolezza di sé.

Narciso, nato dalla violenza fatta dal dio fluviale Cefiso a Liriope, è un bellissimo giovane, amato da ninfe e fanciulli, che da lui però sono indistintamente respinti e disprezzati. Fra i tanti innamorati di Narciso si distingue la ninfa Eco, che lo scorge mentre sta cercando di catturare dei cervi e se ne innamora perdutamente. Subito vorrebbe avvicinarlo ma glielo vieta la sua natura: infatti Eco non può mai prendere la parola per prima, può solo ripetere gli ultimi suoni che sente. È questa la punizione inflittale da Era per averla distratta con le parole mentre le ninfe insidiavano il suo sposo Zeus.

Così l’incontro tra Eco e Narciso è un crudele equivoco: Eco ripetendo le parole di invito del giovane, si illude di essere in qualche modo desiderata da lui, illusione che viene brutalmente spezzata dalla frase di profondo disprezzo di Narciso: “Giù le mani! le intima, piuttosto morire che darti la mia persona”. Il dolore che deriva da questo rifiuto è così grande per Eco che il suo corpo dimagrisce fino a scomparire e le sue ossa si trasformano in pietra, tanto che alla fine è solo la voce a restare di lei. Ma Eco non è la sola ad aver sofferto, qualcun altro – di cui si ignora l’identità – è rimasto ferito dalla superbia di Narciso e invoca Nemesi per attuare la sua vendetta: che lo stesso Narciso ami e non possa raggiungere l’essere amato.

Affaticato da una battuta di caccia, Narciso giunge presso una fonte dalle acque pure ed argentee dove nessun pastore e nessun animale si era mai abbeverato. Lui beve per placare la sete, ma un’altra sete si accende, quella del desiderio, poiché s’innamora perdutamente del bellissimo giovane il cui riflesso scorge nella fonte. Crede di amare una persona reale e non si accorge che invece ciò che ama è solo l’immagine di se stesso. Narciso si inganna a tal punto che l’autore deve intervenire: in un’apostrofe fa notare a Narciso che si perde dietro a un’ombra e che quello che cerca non esiste: “quella che vedi è un’ombra riflessa”. Solo allora Narciso si accorge che il giovane della fonte assume le sue stesse espressioni, compie gli stessi gesti, e quindi non può sbagliarsi: “Io sono lui!”. Se prima Narciso soffriva perché non capiva come raggiungere l’amato, adesso che sa di amare se stesso si dispera e quasi impazzisce per l’impossibilità di realizzare un simile amore.

Il grande dolore che ne deriva lo distrugge e il suo corpo si consuma fino a morire, anche se la sua grande passione in realtà sembra sopravvivere perché giunto nell’Ade continua a specchiarsi nello Stige. Al suo posto, vicino alla fonte, crescerà l’omonimo fiore.

La versione del mito fornita da Ovidio è una delle prime che ci siano pervenute e l’unica a descrivere la vicenda di Narciso in maniera estesa. Sono 172 versi che ne raccontano la nascita, la morte, la metamorfosi e il comportamento nell’Ade. Anche se la metamorfosi di Narciso in fiore è forse la più importante, altre due metamorfosi la precedono, ed entrambe riguardano Eco.

La prima consiste nella trasformazione della capacità di parlare della ninfa, la quale per volere di Era è condannata a ripetere in eco la parte finale delle parole che sente. Non è caso che a Eco nel testo sia legato un lessico che rimanda sempre al campo acustico; ad esempio è definita resonabilis , vocalis nymphe e, del resto, il suo stesso nome in greco significa “suono”. Ridotta da Era a mero riverbero sonoro privo di significato, Eco diventa, durante l’incontro con Narciso, uno specchio acustico in cui il giovane sente riflettersi la propria voce. Nella seconda metamorfosi invece, a mutare è il corpo di Eco: le sue ossa si trasformano in pietre. Stavolta la metamorfosi non è determinata dal volere della divinità ma deriva dal dolore di essere stata rifiutata. Anche nella terza ed ultima metamorfosi, quella di Narciso, è il corpo a subire una trasformazione che si deve sempre ad una delusione amorosa. Ma in questo caso, invece di un rifiuto, è l’impossibilità di Narciso di amare se stesso che provoca il dolore. Il perché della metamorfosi in quel determinato fiore può essere ricavato dall’etimologia della parola narciso: narke significa “torpore” (da cui il termine “narcosi”) ed è evidente il legame tra il sonno, la morte e la rinascita.

Nel mito di Ovidio il narciso è il fiore che nasce dalla morte dell’omonimo giovane; in questo senso esso è legato all’idea di perpetua rinascita cha fa parte della filosofia di fondo delle Metamorfosi: Omnia mutantur, nihil imperit.

L’elemento che permette il passaggio dalla vita alla morte è l’acqua, che nel mito ha un ruolo di primo piano perché è da lì che Narciso nasce (suo padre Cefiso era un fiume) ed è lì che si inganna e muore.

L’acqua, elemento transitorio per eccellenza, contraddistingue persone dotate di una certa personalità che attorno a questo elemento sviluppano un immaginario legato al concetto di metamorfosi. Alcuni autori definiscono “ouverte” (“aperta”) l’immaginazione di Narciso, in quanto lo specchio d’acqua riflette un’immagine vaga e non definita. Così’, Narciso si ritrova davanti all’immagine di un bellissimo viso dai tratti confusi, che gli permette di idealizzare a tal punto ciò che vede da non riconoscere nemmeno se stesso.

La leggenda di Narciso ed Eco racconta la storia di due opposti, Narciso incapace di guardare al di là di se stesso ed Eco incapace di avere cura di se stessa.

Il comportamento di Narciso non è meno dannoso di quello di Eco: l’autoreferenza di Eco, incapace di concentrarsi su se stessa e l’autoreferenzialismo di Narciso sono due facce della stessa medaglia. Se non c’è comunicazione non c’è amore e se non siamo in grado di comunicare l’assenza d’amore è inevitabilmente punita dagli Dei. In un modo o nell’altro l’assenza di amore per se stessi o per l’Altro, non può che portarci a sparire. È solo quando l’amore per noi stessi è sano e pieno che possiamo dedicarci ad amare l’Altro. Non vi è dubbio che il mito tende a sottolineare il carattere fondamentalmente intransitivo dell’amore. L’impossibilità di far si che l’amore, come dire, passi da un soggetto all’altro soggetto, e il fatto che esso resti in qualche modo imprigionato, consegnato, chiuso all’interno del singolo personaggio. È il dramma dell’impossibilità di comunicare, di corrispondere, o meglio è l’istituzione di una molteplicità di forme e di specularità che non implicano comunicazione: la simmetria, la specularità, la corrispondenza non sono di per se stesse un fattore o un elemento di comunicazione.

Un secondo aspetto, che è stato sottolineato anche da altri autori, è che sotto il profilo del loro significato psicologico queste due figure rappresentano al tempo stesso due estremi apparentemente fra loro incompatibili, ma anche internamente scissi.

Narciso è la figura della pura, totale identità la quale tuttavia giunge, sia pure paradossalmente all’estremo di identificarsi con la pura e totale alterità di una immagine riflessa totalmente irraggiungibile. Al contrario, o come corrispondenza di carattere simmetrico, Eco è invece la pura alterità che consiste in questa totale eteronomia (non autonomia) dell’espressione di Eco, in questo non potersi esprimere autonomamente ma solo come riflesso dell’espressione altrui. Ma questa pura e totale alterità costituisce, sia pure in maniera paradossale, l’identità di Eco: e l’aspetto psicologicamente più rilevante di questo incontro è che l’incontro fra la pura e totale identità sia pure internamente scissa, e la pura e totale alterità rende impossibile la comunicazione e l’incontro d’amore.

Articolo di Pasquale Morla

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