È soltanto sul finire del 2004 che l’obbligo di leva viene abolito in Italia. Ed è negli anni ottanta del Novecento che l’Autore di queste pagine viene condannato per il reato di diserzione. Egli racconta la sua storia personale, l’esperienza del carcere militare, della fuga all’estero e dei trattamenti che vi subisce da parte di opache figure istituzionali, e motiva le sue vicissitudini: «Desidero disapprendere la violenza instillata gradualmente nei nostri cuori attraverso sentimenti d’inadeguatezza e diffidenza. Sono un giovane ragazzo europeo che non sogna conquiste e trionfi, non esige patrimoni disseminando insegne e stendardi». Fino alla scelta di scrivere: «Il disertore di ieri come corpo scritto, un corpo del reato, un corpo imprigionato, un corpo in esilio, un corpo torturato e un corpo stigmatizzato, riesce oggi a essere ricomposto come in un gioco di pazienza, riorganizzando e ricreando i frammenti che lo generano. Il suo corpo autobiografico è oggi in divenire con la scrittura del diario di un disertore. Uno spazio dove cerco di trovare nuove comprensioni, nuovi equilibri e prospettive di ogni aspetto della vita, come è stata vissuta, come non è stata o avrebbe potuto essere vissuta».
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